Industria ancora a picco: 18 mesi di discesa di fila
Secondo Istat il futuro non è affatto roseo: “Prospettive negative”
Ieri Giorgia Meloni ha ricordato sui suoi social l’aumento degli occupati a luglio comunicato da Istat 11 giorni fa. Non ha però trovato il tempo per l’ennesimo crollo della produzione industriale italiana. Il trend è preoccupante. A luglio è scesa dello 0,9% su base mensile, superando le stime (era atteso -0,2%). Su base annua, il calo è del 3,3%. Per la sola manifattura, parliamo di un -1,2% mensile e -3,9% annuale. Numeri impietosi.
Quello di luglio è il diciottesimo mese di fila di calo per la produzione industriale, ma quel che è peggio è che il trend è destinato a continuare. “In Italia, la fase di discesa dell’indice della produzione industriale, comune anche ad altri Paesi dell’ue e particolarmente marcata in Germania, non sembra ancora conclusa”, ha spiegato l’istat nella sua nota sull’andamento dell'economia diffusa sempre ieri. Da maggio 2022, quando è iniziata la fase discendente dopo il rimbalzo post pandemia, la produzione industriale è scesa del 6,7%.
A LUGLIO,
peraltro, il calo è stato abbastanza generalizzato se si escludono i prodotti chimici, le industrie alimentari e la fornitura di energia elettrica e gas. La meccanica, principale comparto manifatturiero italiano, segna un -4,3%. La farmaceutica arretra dell’1,9%, l’industria del legno del 5,1%. Su base annua si salva solo l’energia (+1,9%): calano i beni intermedi (-2,8%) e ancora di più quelli strumentali (-4,2%) e i beni di consumo (-5,2%). I dati peggiori si registrano nell’attività estrattiva (-5,9%), nel tessile (-18,3%) e nei mezzi di trasporto (-11,4%), questi ultimi due settori esposti alla forte concorrenza cinese.
Il problema non si ferma solo ai volumi produttivi. A giugno, segnalava l’istat, il fatturato dell’industria è crollato su base annua, mentre si è fermato nel settore dei servizi, cioè quello che finora ha trainato la debole crescita italiana (l’apporto dei consumi è sostanzialmente nullo).
Questi numeri sono una pessima notizia per le prospettive economiche italiane e ovviamente per i conti pubblici, nel momento in cui il governo sta scrivendo il Piano strutturale di bilancio, che ipotecherà l’andamento della spesa dei prossimi 4-7 anni come previsto dalle nuove regole fiscali europee che hanno rinnovato l’impostazione restrittiva dell’era pre Covid.
LA CRISI dell’industria (e i primi segnali negativi dai servizi), la fine del boom dell’edilizia trainato dal Superbonus, il calo del reddito reale delle famiglie e le difficoltà della Germania, nella cui catena di fornitura si è sempre collocata un pezzo della manifattura italiana, lasciano ipotizzare che nel secondo semestre dell’anno la situazione non migliorerà. Da aprile a giugno, il Pil è cresciuto dello 0,2% solo grazie alla variazione delle scorte, dato peraltro rivisto in calo dello 0,1% dalla stima preliminare. La crescita acquisita (se il Pil restasse fermo nei prossimi trimestri) per quest’anno è dello 0,6%. Per centrare il +1% stimato dal governo l’economia dovrebbe crescere dello 0,3% nei prossimi due trimestri. Come ha ricordato Il Fatto, nonostante l’aumento degli occupati sbandierato dal governo, calano le unità di lavoro a tempo pieno, un indicatore molto più accurato perché tiene conto delle ore effettivamente lavorate. In questo senso l’aumento del 28% delle ore di cassa integrazione richieste dalle aziende a luglio, comunicato dall’inps, è un ulteriore segnale di peggioramento. L’aumento degli occupati ha infatti contribuito finora all’ottimo andamento delle entrate erariali di questi mesi (a luglio +3,3%), su cui il governo punta per finanziare parte della manovra e che hanno evitato di dover effettuare una correzione dei conti in corsa la scorsa primavera.
Se viene meno la crescita, nel momento in cui il governo deve confermare tagli alla spesa per quasi una dozzina di miliardi nel 2025 e altrettanti ne deve trovare per prorogare le misure su cuneo fiscale e Irpef, i guai dei suoi ministri saranno l’ultimo dei problemi di Giorgia Meloni.