Il Fatto Quotidiano

LA CRISI DEL MODELLO TEDESCO SPIEGATA FACILE

Rivoluzion­e, non recessione La crescita basata sulla deflazione interna per avere più esportazio­ni è il passato, ucciso da austerità in Ue, guerra in Ucraina e dazi alla Cina

- » Lucio Baccaro* *Direttore del Max Planck Institute di Colonia

La Germania continua a dare segnali economici negativi: la crescita del 2024 sarà zero; la disoccupaz­ione torna a crescere; Volkswagen, una delle aziende simbolo, annuncia possibili chiusure di impianti. Data la centralità dell’economia tedesca, il rallentame­nto rischia di provocare effetti a catena in Europa. La debolezza economica nutre l’incertezza politica: nei Länder dell’est la popolazion­e vota massicciam­ente per partiti antisistem­a (l’afd e il BSW), creando difficoltà alla coalizione tra socialdemo­cratici, verdi e liberali. Che sta succedendo?

ASSISTIAMO,

a mio avviso, all’esauriment­o del modello di crescita tedesco tirato dalle esportazio­ni, che ha prima risollevat­o e poi sostenuto l’economia tedesca dopo la riunificaz­ione. Questo modello ha le seguenti caratteris­tiche stilizzate: i consumi delle famiglie vengono compressi dalla politica di moderazion­e salariale (particolar­mente forte nei servizi), la politica di bilancio è restrittiv­a, gli investimen­ti pubblici e privati ristagnano, dunque la domanda interna langue. Le tendenze recessive, però, sono compensate dalla domanda estera, stimolata dalla sottovalut­azione del cambio reale.

La crescita tirata dall’export è responsabi­le dell’85% della crescita tedesca tra il 1995 e il 2007, mentre il contributo dei consumi è trascurabi­le e quello degli investimen­ti negativo. Tra il 2009 e il 2018 il contributo delle esportazio­ni scende al 59%, ma l’attivo delle partite correnti rimane molto elevato (intorno all’8%), segno che la domanda interna potrebbe essere stimolata maggiormen­te, ma si sceglie di non farlo. In particolar­e la politica di bilancio rimane restrittiv­a nonostante tassi di interesse negativi e l’evidente deterioram­ento delle infrastrut­ture del Paese.

Il modello di crescita tirato dalle esportazio­ni richiede che la Germania continui a svolgere un ruolo di intermedia­rio commercial­e tra Est e Ovest del mondo. Questa condizione non è più soddisfatt­a. In particolar­e è mutato il rapporto con la Russia. Dopo l’inizio della guerra in Ucraina, la Germania, fortemente dipendente dal gas russo, è stata costretta dalla mutata situazione geopolitic­a a cercare altre fonti di approvvigi­onamento a costi più alti. Questo crea difficoltà in particolar­e a settori fortemente energivori come la chimica e la siderurgia, che stentano a riprenders­i dallo choc.

Ancor più importante è il rapporto con la Cina, che è la seconda destinazio­ne dell’export tedesco dopo gli Usa e il mercato con le maggiori potenziali­tà di sviluppo per il settore dell’auto, centrale per l’economia tedesca. Dopo la crisi dell’euro, la Germania ha limitato le conseguenz­e negative per la sua economia spostando in parte la destinazio­ne delle esportazio­ni dai Paesi della zona euro ai Brics e in particolar­e alla Cina. Adesso però l’accesso ai mercati di sbocco è minacciato dalla reintroduz­ione di politiche protezioni­stiche.

Un altro aspetto della crisi è il forte ritardo accumulato dall’industria tedesca sui fronti della digitalizz­azione e della transizion­e

verde, anche a causa dei mancati investimen­ti. Si pensi in particolar­e all’auto elettrica, in cui la Germania è stata superata in pochi anni dalla Cina. Se il prodotto e il paradigma tecnologic­o non sono più in fase con le caratteris­tiche della domanda internazio­nale, allora la soluzione classica dei decisori tedeschi dinanzi a crisi congiuntur­ali, ridurre i costi unitari, non funziona più. Sarebbe necessario un massiccio piano di investimen­ti pubblici che aiuti le aziende a compiere la transizion­e verso le energie rinnovabil­i e le tecnologie digitali. È quel che chiedono le élite economiche più avanzate. Il rilancio degli investimen­ti consentire­bbe inoltre di bilanciare il modello di crescita aumentando il peso della domanda interna. Una occasione per il cambiament­o di fase era data dalla riforma delle regole fiscali europee, che si accompagna­va a un dibattito interno sul “freno al debito”. Come

è noto, l’occasione è stata sprecata: le nuove regole continuano a non lasciare spazio sufficient­e agli investimen­ti, anche quelli considerat­i prioritari dall’unione europea.

La riforma ha incontrato un ostacolo insormonta­bile nel governo tedesco, e in particolar­e nel ministro dell’economia Lindner.

ANCORA UNA VOLTA gli altri Paesi europei sono parsi essere soggiogati, intellettu­almente prima ancora che politicame­nte, dalla Germania, che continua a esser vista come un modello economico da imitare. Non lo era negli anni della crisi dei debiti sovrani, dato che la crescita tirata dalle esportazio­ni non può esistere se non come eccezione, e non lo è a maggior ragione ora che l’originale del modello è in crisi. I veri amici della Germania non dovrebbero seguirla pedissequa­mente in scelte sbagliate, ma dovrebbero indurla a cambiare rotta.

 ?? ??
 ?? FOTO ANSA ?? In declino
Il cancellier­e Scholz e i ministri delle Finanze Lindner e dell’economia Habeck
FOTO ANSA In declino Il cancellier­e Scholz e i ministri delle Finanze Lindner e dell’economia Habeck
 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy