Dal ponte di una nave, storie di chi è arrivato e di chi arriverà
Dopo un mese di navigazione in zona Sar per salvare naufraghi e poi raggiungere porti più o meno lontani, è tempo di bilanci
SGli stereotipi A destra i migranti diventano minaccia, a sinistra perenni disperati E invece, come tutti, desiderano solo una vita migliore
iamo sbarcati. Non è stato facile, come non è facile concludere questa rubrica. Alla fine delle esperienze capita sempre, anche se non sempre ha senso, di cercare di fare un bilancio.
Dopo che abbiamo sbarcato le 156 persone che abbiamo soccorso, ci siamo trattenuti a bordo ancora per qualche giorno. La nave era stranamente desolata e noi trenta europei rimasti eravamo un po’ soli, un po’ tristi. Per riempire uno di questi giorni malinconici, uno degli ufficiali, Sebastian, ha deciso di fare uno starshow per l’equipaggio. È una cosa piuttosto semplice: si tratta di individuare le principali costellazioni e raccontare i miti da cui prendono il nome: Cassiopea punita da Poseidone per la sua protervia e spedita in cielo per sempre; la ninfa Callisto amata da Zeus che prende le sembianze eterne dell’orsa Maggiore; lo scorpione reso costellazione dalla dea Artemide, dopo aver ucciso il gigante cacciatore Orione.
Io ho sempre guardato il cielo con infinita angoscia. Quella desolazione senza senso di corpi celesti che ardono perduti nel nulla eterno mi ha sempre annichilito. Ma quella sera, guidato dall’abile e pacato Sebastian, mi è sembrato quasi rassicurante, amichevole, il cielo. E penso che sia perché è la prima volta che io il cielo lo vedo fatto di storie, che quelle stelle sgangherate e casuali mi sono sembrate avere un senso. Qualunque cosa non ha senso, se non è organizzata in una storia.
E scrivere su un giornale ti spinge a farti delle domande sulle storie che scegli di raccontare. Ad esempio quando, pochi giorni dopo il salvataggio, nel corso della lunga navigazione verso La Spezia, c’è stato un momento di festa, mi sono domandato se fosse opportuno farlo. Mi sono chiesto: non è che poi arriva qualcuno che dice: ecco, guardali, i profughi, fanno finta di venire dalla guerra e dalla miseria, ma poi se ne stanno lì a cantare, a ballare, a festeggiare? Non è che arriva qualcuno che dice che fare una festa non è una cosa che si addice a chi è appena scampato a un naufragio?
E poi ho pensato che no, non andava omesso. Perché quella festa magnifica e assurda, quel momento, se lo guardi nel suo insieme, dice più di tante narrazioni drammatiche. Completa,
in negativo, il racconto di tutte quelle barche che non sono mai arrivate sull’altra sponda.
Ma perché i migranti che attraversano il Mediterraneo ce li dobbiamo sempre immaginare miserabili e disperati? Non possono essere anche felici, grati di essere vivi, allegri? Non sono persone come noi, che vogliono soltanto una vita bella, vogliono soltanto gioire di quel poco tempo che ci è dato da vivere?
L'IMMAGINE
del migrante, nel nostro Paese, ha due possibili declinazioni: o la caricatura della destra, che ci consegna immagini di astuzia e violenza, o la semplificazione pietista, che ci racconta di esseri umani annullati ed eternamente disperati, mendichi e contriti.
Due narrazioni specularmente opposte che hanno ambedue il pregio di raccontare una versione di esseri umani al servizio del capitalismo: o capro espiatorio utile a mantenere lo status quo, a mettere in competizione i lavoratori tra loro, o immagine plastica del buon lavoratore mite ed eternamente grato. La realtà, se la guardi da vicino, come mi è capitato in questo caso, è, come sempre, diversa: sono persone che sono scampate a un naufragio, che hanno respirato sotto coperta di una nave precaria i fumi tossici del carburante, che hanno pensato di morire persi nella notte del Mediterraneo e poi hanno scoperto di essere vive, che il mondo non è solo carceri libiche o centri di detenzione europei, che le persone, a volte, fanno un gesto sorprendentemente gentile, ti vengono a cercare e raccogliere in mezzo al mare quando intorno non c'è nessuno e allora, una volta che ti sei ripreso, hai solo voglia di ballare, di stare vicini, di dire cose care e stupide. Hai solo voglia di fare una festa. Come tutti noi.
E mi è venuto da pensare anche che questa faccenda delle migrazioni funziona in fondo nello stesso modo della nostra percezione del cielo di notte. Se ci mettiamo a pensare al fenomeno immenso, epocale, delle migrazioni, alle sue conseguenze, all’enormità della Terra e delle sue popolazioni che vogliono spostarsi, a come gestire tutto questo, restiamo semplicemente annichiliti. Perché è un fenomeno inarrestabile di fronte al quale siamo piccolissimi, come di fronte al firmamento. Ma se, questa immensità, la scorpori in tante storie ascoltate su un ponte di una nave, quella di N., minore non accompagnato reclutato forzatamente nella milizia jihadista Al-shabaab in Somalia e scappato rocambolescamente grazie alla solidarietà di un gruppo di donne amiche; quella di P., che fugge dalla Nigeria perché gay e perseguitato e isolato da tutti i suoi amici; quella di U., il cui padre è un potente generale talebano e che la madre ha voluto tenere lontano da quella follia, se questa immensità – dicevo – la scomponi in tutte queste storie, allora comincia ad avere un senso.