Il Fatto Quotidiano

QUELLA CAMPANA “FESSA” I 100 SCUDI DEL CURATO E IL MIRACOLO DEL CIRCO

- DANIELE LUTTAZZI

Da un racconto apocrifo di Vincenzo Tieri. La piccola parrocchia aveva una vecchia campana il cui suono fesso rattristav­a il vecchio curato a cui tutti volevano bene. Al cinquanten­ario del suo sacerdozio, i parrocchia­ni risolsero di offrirgli un regalo di una certa importanza, e raccolti 100 scudi glieli portarono, pregandolo di andare in città a scegliere lui stesso una campana nuova. Commosso, l’indomani il curato lasciò il paesello e raggiunse a piedi il capoluogo, camminando allegramen­te, la testa già piena del festoso, imminente scampanio. Alle porte della città vide un carro di saltimbanc­hi, e poco distante un vecchio cavallo coricato sul fianco, le gambe irrigidite, la vecchia pelle spaccata dal cerchio delle coste, gli occhi bianchi. Un vecchio e una vecchia vestiti di cenci erano seduti sulla riva del fosso e piangevano. Una ragazzina smagrita dalla pelle color cuoio saltò dal carro e corse verso il curato tendendogl­i il palmo della mano: “Fate la carità, arciprete! Fate la carità!” Raccontò che suo fratello era in prigione, incolpato del furto di una gallina: “Era lui a mantenerci. Non mangiamo da due giorni. So fare qualche piroetta, ma col cavallo morto che sarà di noi?” Il curato sentiva alla cintura il peso del sacchetto coi 100 scudi. Le chiese: “Ami tu il buon Dio?” “L’amerei se venisse in nostro aiuto.” Il curato le porse il sacchetto; la zingarella afferrò i soldi e raggiunse euforica i due vecchi. Tornato in canonica, il curato si confidò con la perpetua, che subito s’allarmò: “Avete dato a una mendicante sconosciut­a una somma enorme che non vi appartenev­a. Avete commesso una specie di furto! E adesso? Come nascondere­te quello sbaglio, come lo riparerete? Dove troverete altri 100 scudi? Come spiegheret­e la vostra condotta?” Il curato pensava che il buon Dio avrebbe provveduto; le raccomandò il silenzio; e fiducioso prese a dire bugie a chi lo interrogav­a sulla campana. “Superba! E che suono! La si direbbe d’argento.” “Quando arriverà?” “Presto.” “Sta arrivando?” “Sì. Il tempo di incidervi un versetto delle Sacre Scritture.” “Non arriva ancora?” “È a Roma: deve benedirla il Papa.” Ma il trafugamen­to del denaro formava, col cumulo delle menzogne, una massa spaventevo­le di peccati, e il curato era sempre più infelice. A poco a poco un pallore giallastro prese il posto, sulle guance dimagrite, dei pomelli rossi della sua vecchiaia innocente. Il giorno fissato per le sue nozze d’oro e per il battesimo della campana era ormai passato da un pezzo: gli abitanti del paesello si stupivano di un tal ritardo. Giravano voci. Il maniscalco raccontava di aver visto il prete in compagnia di una donnaccia in città: “Ve lo dico io: si è mangiato denaro e campana con una birbona”. Si formò un partito contro il curato: al suo passaggio, parecchi cappelli restavano sulle teste, si udivano mormorii ostili. Il curato capiva tutta la gravità del suo sbaglio, ma non poteva giungere alla perfetta contrizion­e, perché rivedeva, così neri e pieni di lacrime, gli occhi supplici della piccola acrobata. Alla fine la sua angoscia si fece intollerab­ile. Una domenica decise. Salì al pulpito e, pallido come un martire nell’arena, cominciò: “Miei cari fratelli, ho una confession­e da farvi…” Lo interruppe­ro rintocchi chiari, limpidi, argentini. Tutte le teste si levarono: “La campana nuova! La campana nuova!” Il curato sbalordì. Che stranezza era quella? È presto detto: al racconto della ragazzina, il grande circo che l’aveva accolta acquistò una magnifica campana per la chiesetta del curato, in segno di riconoscen­za; avvezzi a erigere il tendone con paranchi, sistemarla nottetempo era stato un gioco da ragazzi. Il vecchio prete non seppe mai cos’era successo, e fino alla fine credette a un miracolo. Ma non è forse un miracolo, il circo?

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