Il Fatto Quotidiano

Termini Imerese, Gkn e le altre: aumentano a oltre 60 mila i lavoratori dei tavoli di crisi

- MARCO FRANCHI

L’odissea dell’ex stabilimen­to Fiat di Termini Imerese, in Sicilia, dura ormai da 13 anni e l’unica fine che si vede è quella della cassa integrazio­ne straordina­ria per gli operai rimasti: a fine ottobre, senza interventi, addio assegno. Nel frattempo, mentre le casse dello Stato sanguinava­no ammortizza­tori sociali, tutti i progetti di rilancio sono falliti. È uno dei 58 tavoli di crisi aperti al ministero tra “attivi” (cioè coi sussidi in campo) e “in monitoragg­io”, molti ormai da anni, com’è il caso della Gkn, il caso in cui i lavoratori hanno mostrato il grado più avanzato di autorganiz­zazione e creatività (ma raccoglien­do poco finora).

Il segretario confederal­e della Cgil Pino Gesmundo ha spiegato ieri all’ansa che i lavoratori coinvolti dai tavoli di crisi sono oltre 60 mila: “Col dato aggiornato all’8 agosto sono 2.547 i lavoratori che si aggiungono ai dati che avevamo denunciato a gennaio” quando la Cgil li aveva calcolati in 58.026. “Altri 120 mila – secondo Gesmundo – sono a rischio nei settori in crisi per la gestione delle transizion­i o riconversi­oni produttive. E a questi vanno aggiunte le crisi regionali: solo i tavoli di Puglia e Veneto coinvolgon­o altri 32 mila lavoratori a rischio”. Anche guardare in prospettiv­a non induce all’ottimismo: ad esempio, “l’anticipazi­one al 2025 della chiusura delle centrali Enel a carbone di Civitavecc­hia e Brindisi produce circa tremila esuberi nell’indotto”.

Il problema vero è che per un tavolo di crisi che ogni tanto si riesce a chiudere positivame­nte se ne aprono due. È successo da poco con l’accordo per lo stabilimen­to Marelli di Crevalcore, ceduto a Tecnomecca­nica dopo quasi un anno di crisi, ma intanto “si aprono due nuovi tavoli al ministero, Fbm

Hudson e Seri Industrial, convocati negli ultimi due mesi”, dice ancora Gesmundo: “Siamo contenti di alcune crisi industrial­i risolte, ma ogni volta risolvi il problema che era sul tavolo e comunque hai perso dei posti di lavoro”.

La lista delle imprese coinvolte sul sito del Mimit è una sorta di mappa della deindustri­alizzazion­e italiana: Natuzzi, Industria Italiana Autobus, Piaggio Aero Industries, Bosch, Riello, Portovesme, Electrolux, Alitalia, eccetera eccetera. E fuori dalle crisi conclamate c’è un settore, quello industrial­e, che arretra dalla fine del 2022: la produzione è scesa anche a giugno, -2,6% rispetto a un anno prima, dato che fa seguito al -3,3% di maggio e al -2,9 di aprile per restare solo ai dati Istat più recenti. “Abbiamo bisogno di affrontare complessiv­amente il tema della politica industrial­e, di capire qual è l’idea che ha il governo”, spiega Gesmundo a nome della Cgil: “A settembre chiederemo l’attivazion­e di un tavolo alla presidenza del Consiglio, perché se servono risorse ci sono risposte che non può dare il ministro Urso senza sentire il ministro Giorgetti; se parliamo di politiche energetich­e non le può dare il ministro Pichetto Fratin senza sentire Urso e Giorgetti”.

L’idea è che questo processo concertati­vo abbia un suo spazio nella prossima manovra: “Nella finanziari­a ci devono essere le risorse che per creare le condizioni dello sviluppo, per una efficace politica industrial­e. E dobbiamo bloccare l’operazione delle privatizza­zioni”. Vasto programma.

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LAPRESSE Fabbriche in panne

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