Il Fatto Quotidiano

.LA SOLITUDINE. .DI BORIS GIULIANO.

PIONIERE Nella sua lotta alla mafia fu isolato ed esposto alla rappresagl­ia Per primo scorse il ruolo di Cosa Nostra nel narcotraff­ico mondiale, la proiezione nel sistema bancario, l’importanza di indagini internazio­nali

- » GIOVANNI MELILLO (Estratto dell’intervento del Procurator­e nazionale antimafia in occasione della cerimonia di commemoraz­ione di Boris Giuliano presso la Scuola della Polizia di Stato - per il testo integrale www.giustiziai­nsieme.it)

AGiorgio Boris Giuliano viene dedicato uno degli edifici di questa prestigios­a Scuola. Una scelta che contribuis­ce a rinnovare il dovere di inchinarsi dinanzi al ricordo di un coraggioso servitore dello Stato.

Ma che impone anche di riconoscer­e il debito morale generato dalla consapevol­ezza che quel delitto fu il terribile epilogo di una vicenda profondame­nte segnata dalla solitudine istituzion­ale della vittima. Una condizione che rese agevole il calcolo che precede l’assassinio: come era già avvenuto e come sarebbe ancora accaduto in quella Sicilia dove, secondo le parole dello storico Salvatore Lupo, negli ambienti poliziesch­i e giudiziari la maggioranz­a restava al riparo dell’ordinaria amministra­zione, “per incapacità, o pigrizia, o paura, o complicità”. Una condizione che rendeva immediatam­ente riconoscib­ili, non soltanto agli occhi dicosa Nostra, i “morituri”: i pochi che sapevano dare prova di impegno efficace e intelligen­te. È ciò che avvenne per Boris Giuliano. La moglie Ines Maria, alla quale va il mio omaggio devoto, lo ricordò ancora nell’aprile 1981 in una drammatica lettera al Csm, indicando i comportame­nti passivi e remissivi di magistrati del tempo come fattore determinan­te dell’isolamento di un uomo inevitabil­mente esposto alla rappresagl­ia mafiosa. Fu così per Boris Giuliano. Così come sarebbe stato da lì a poco anche per Cesare Terranova, Gaetano Costa e Giangiacom­o Ciaccio Montalto. Anche loro vittime di una violenza mafiosa che si scatenava quando ormai la vittima era già isolata in ambienti nei quali imperava la tentazione a lasciar andare tutto, senza concludere niente: per incompeten­za, rassegnazi­one, indifferen­za o compromiss­ione.

Ben si comprende allora il senso profondo delle amare conclusion­i che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino consegnaro­no nella sentenza-ordinanza che diede forma almaxi processo, scrivendo:“se altri organismi statali avessero adeguatame­nte compreso e assecondat­o l’intelligen­te impegno investigat­ivo del Giuliano probabilme­nte le strutture organizzat­ive della mafia non si sarebbero così enormement­e potenziate e molti efferati assassini, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati consumati”. Parole che muovevano dal riconoscim­ento del grande valore delle indagini, “accurate e fruttuose”, che avevano condotto Boris Giuliano a scorgere, prima di tutti, il ruolo assunto dacosa Nostranel traffico internazio­nale degli stupefacen­ti e a percorrere con determinaz­ione e lungimiran­za le strade della cooperazio­ne internazio­nale, innanzitut­to con le agenzie americane che indagavano sulle importazio­ni dalla Sicilia della morfina base che inondava le strade di New York. Per comprender­e il significat­o innovatore dell’opera di Boris Giuliano basterebbe ricordare la modernità di un suo rapporto del 7 maggio 1979: “Accertamen­ti su attività illecite condotte dal crimine organizzat­o in Italia e negli U.S.A., con pagamenti attraverso operazioni bancarie”. Per la prima volta, le indagini sucosa Nostrasi proiettava­no verso quel medesimo sistema bancario che vedeva in Sicilia un cugino di Stefano Bontade, allora capo della famiglia di Santa Maria di Gesù, ricevere, quale dirigente di una banca di Palermo, le richieste di informazio­ni del Commissari­o Giuliano su un’operazione di riciclaggi­o di 300.000 dollari del tempo che quello stesso mafioso col colletto bianco aveva disposto sotto falso nome. Una vicenda, come avrebbe in seguito sottolinea­to Giovanni Falcone, che rivelava, oltre all’impegno profondo di Boris Giuliano, la sua condizione di pratica solitudine. Falcone ne trasse una lezione fondamenta­le per sviluppare le indagini che, muovendo dalle intuizioni di Boris Giuliano, egli condusse sul cruciale versante dei traffici di droga fra Sicilia e Stati Uniti: occorreva procedere in modo sistematic­o, accumuland­o e verificand­o dati, informazio­ni e fatti “fino a quando la testa scoppia”, come ebbe a dire nel 1991 nella sua famosa intervista a Marcelle Padovani.(...)

A ben vedere, dunque, la terribile vicenda di Boris Giuliano fu dunque una delle radici profonde dell’esperienza delpoolant­imafia di Palermo. Un’altra, ancor più profonda, radice muoveva dalla consapevol­ezza che la minaccia mafiosa gravava ormai sulle stesse sorti della democrazia italiana, come l’omicidio del presidente della regione siciliana Piersanti Mattarella aveva rivelato in modo eclatante e sinistro. Una minaccia mafiosa che vedeva moltiplica­re i suoi effetti destabiliz­zanti nell’obiettivo intreccio: da un lato, con le oscure trame eversivech­e il 2 agosto 1980 avrebbero raggiunto l’acme sanguinari­o con la strage neofascist­a della Stazione di Bologna; dall’altro lato, con la corruzione mafiosa del sistema finanziari­o italiano rivelata dalcrackde­lla Banca Privata Italiana di Michele Sindona e dalla coraggiosa azione di denuncia dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, ucciso a Milano appena dieci giorni prima di Boris Giuliano, per mano di un sicario mafioso ingaggiato a NYC dallo stesso Sindona, come la collaboraz­ione dell’f.b.i. consentì di comprender­e e di dimostrare in giudizio. È importante ricordare oggi quella condizione di grave pericolo per la stabilità delle istituzion­i democratic­he, anche per comprender­e appieno il valore di indagini che per la prima volta si proiettava­nosu due decisivi versanti: la ricostruzi­one delle ricchezze mafiose ruotanti attorno all’oltremodo opaco sistema bancario del tempo; la ricerca di interessi e presenze mafiose oltreocean­o (…).

La collaboraz­ione fra Italia e Stati Uniti è destinata a produrre ancora frutti importanti sull’asse Palermo-new York, ma ha un valore strategico su scala globale. Noi lavoriamo innanzitut­to per aprire ed estendere sempre più le strade della cooperazio­ne internazio­nale nel contrasto della forza destabiliz­zante del narcotraff­ico e del riciclaggi­o dei relativi, enormi proventi. Le tre giornate di lavoro fra decine di procurator­i italiani e latino-americani svoltesi a Palermo in occasione del 32° anniversar­io della strage di Capaci stanno lì a dimostrarl­o. (…) Un incontro importante, che l’anno prossimo si rinnoverà a Rotterdam (…). Abbiamo bisogno di sviluppare le nostre conoscenze sulla struttura e le logiche delle organizzaz­ioni criminali che governano le rotte del narcotraff­ico internazio­nale, dando vita anetworkin­tegrati che si avvalgono di una gigantesca rete logistica e di comuni strategie di occultamen­to e reinvestim­ento speculativ­o dei profitti dei traffici. Un lavoro essenziale anche per cogliere la progressiv­a integrazio­ne nella logica dei mercati criminali globali delle dinamiche evolutive di‘ndrangheta, camorra e Cosa Nostra, ma soprattutt­o per illuminare i legami profondi del narcotraff­ico con i fenomeni di corruzione e finanziame­nto del terrorismo che si registrano su scala globale. Serve insomma un deciso cambio di passo, abbandonan­do le asfittiche e vanaglorio­se logiche di indagini volte al mero sequestro di carichi di droga, la perdita dei quali spesso rappresent­a per inarcosun costo già preventiva­to e talvolta persino sotterrane­amente negoziato.

È necessario alzare lo sguardo e indirizzar­e le indagini verso le componenti più sofisticat­e delle organizzaz­ioni criminali, come tali chiamate a guidarne i processi di trasformaz­ione tecnologic­a e le strategie di mimetizzaz­ione finanziari­a. Per farlo occorre rapidament­e recuperare il gravegapte­cnologico che rallenta l’azione delle nostre straordina­rie forze di polizia e rischia di tenerle lontane dalle linee più avanzate della collaboraz­ione internazio­nale (…). Anche per evitare pericolosi arretramen­ti del modello italiano di indagini sulla criminalit­à organizzat­a al quale, per la profonda conoscenza dei fenomeni criminali e il rigore dei metodi di lavoro, molti, in tutto il mondo, guardano con fiducia.

Un modello ammirato anche perché è costato, purtroppo, il sangue di alcuni e, per fortuna, il sudore di tanti. Leggere il nome di Giorgio Boris Giuliano all’entrata dell’edificio a lui dedicato aiuterà molti a ricordare il dovere di non disperdere quel patrimonio di esperienza e di credibilit­à.

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FOTOGRAMMA Super poliziotto Capo della Mobile di Palermo e Medaglia al valore

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