Il Fatto Quotidiano

MEDITERRAN­EO CENTRALE

- NICOLA BORGHESI 4.Continua

SIAMO PARTITI. Ci siamo lasciati alle spalle le coste rassicuran­ti della Sicilia e la Sea-watch 5 punta dritto verso il Mediterran­eo centrale, la rotta migratoria più letale al mondo. Dopo tutti i training, la preparazio­ne, il tempo in porto e non lontano dalla costa rassicuran­te, cambia tutto. Strano pensare di prepararsi così a lungo per qualcosa a cui, in fondo, si arriva sempre, necessaria­mente impreparat­i: l’incontro con l’altro. Il clima a bordo cambia rapidament­e, la conversazi­one diventa più fluida, le barriere cedono e ci si fa un po’ più vicini, come chi sa che si troverà presto a fare qualcosa di difficile insieme. L’idea dell’incontro, forse, ci fa incontrare di più anche a noi. Le esercitazi­oni sui RHIB, le piccole barche veloci lanciate dalla nave madre che recuperano fisicament­e le persone, sono completate. Da lì sopra si torna fradici. I vestiti si asciugano sul ponte, che improvvisa­mente diventa il cortile di una casa di ringhiera, le persone ci mangiano intorno e a volte un’onda le colpisce e sembra una giornata di mercato. Il panorama è del tutto nuovo: intorno a noi mare e soltanto mare, a volte qualche cargo e qualche tartaruga gigante. Cominciano i turni di avvistamen­to: quattro ore per ogni gruppo, a rotazione, si guarda l’orizzonte con un binocolo. Si tratta cercare un puntino minutissim­o che si muove. Molte delle imbarcazio­ni soccorse vengono trovate così, con gli occhi, troppo piccole per essere rilevate dai radar, soprattutt­o con le onde alte. Il mare si fa grosso e qualcuno comincia a vomitare, qualcuno è tramortito. Le onde arrivano fino a due metri e la nave cigola, scuote, si bagna. L’acqua vuole entrare e le navi vogliono farla star fuori, questo è il perverso gioco della navigazion­e, mi spiega Josè. Quando cala la sera le onde alte inquietano, dall’alto del ponte della nave, nel buio, provati dalla nausea e intimoriti da questo affondo nell’ignoto verso la Libia e la sua oscura Guardia Costiera cosiddetta. Provo a immaginare la stessa circostanz­a ma da un’altra prospettiv­a: non l’alto del ponte di una grande nave che domina le onde, ma da sotto, in mezzo, alle onde, che sovrastano, su una piccola barca di legno o di gomma. Intorno solo buio e luna. Nessuno all’orizzonte, un ignoto ancora più spesso, senza punti di riferiment­o. Il nulla, dappertutt­o, e un gruppo di persone che non si conoscono, strette, che pensano, chissà cosa pensano. Impossibil­e immaginarl­o. Se le incontro, glielo chiedo.

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