Il Fatto Quotidiano

MUTANDE, CANOTTIERA E USTIONI

Fantozzi e Fracchia giocano a tennis La prima e ultima partita

- » Paolo Villaggio © 1971, 1977, 1994 RCS Libri e Grandi Opere S.P.A., Milano © 2003, 2013 RCS Libri S.P.A., Milano © 2017 Rizzoli Libri S.p. A. / BUR Rizzoli © 2018 Mondadori Libri S.p. A. / BUR Rizzoli

Solo ora, all’inizio di un tragico declino fisico, Fantozzi sta realizzand­o di non essere mai stato uno sportivo. In fondo aveva giocato al pallone per qualche anno e senza grandi risultati: soltanto un po’ di calcio che a distanza di tanto tempo ricorda ancora con amore ostinato, nonostante avesse sempre corso il rischio di non essere incluso nella squadra della IV Istituto tecnico che partecipav­a a una specie di torneo tra le classi della sua scuola. Ma questo più di vent’anni fa.

Bisognava correre assolutame­nte ai ripari, e Fracchia lo travolse in una avventura umiliante: cominciare a giocare a tennis. “È l’unico sport che si può praticare alla nostra età” gli disse Fracchia. “È divertente e poco dispendios­o... Fisserò il campo per domenica mattina.”

Quando Fantozzi lo disse alla signora Pina ne nacque una calma lite tipica di un ménage rassegnato. “Ma lo sai che poi non avrai la costanza per continuare” lo ammonì la moglie. “Butterai via inutilment­e degli altri soldi!” Quest’ultima frase lo aveva fatto uscir di senno. Cominciò a urlacchiar­e che era tutta una vita che risparmiav­a e non si meritava frasi simili. Accusò anche la moglie di avidità ed egoismo, e concluse che allora lei voleva vederlo morto d’infarto prematuram­ente. Non si parlarono più dopo questa lite, sabato sera. Ma quando la signora Pina lo vide che si alzava alle 4 di domenica per andare a giocare a uno sport per lui misterioso, lui che la domenica era solito poltrire a letto fino alle 11, si sentì tutta intenerire.

Il campo purtroppo era stato fissato per l’unica ora libera: dalle 6 alle 7 del mattino. Tutte le altre ore erano già impegnate da tempo, e più ci si avvicinava a quelle calde e comode intorno a mezzogiorn­o più aumentava il rango e il grado dei Direttori Generali e Direttori Naturali, Ereditieri, Cardinali o figli di tutti questi potenti.

In autunno, alle 4 del mattino, in Italia c’è un clima siberiano (è una realtà che neppure la propaganda fascista era riuscita ad abbattere con lo slogan: “Italia il giardino d’europa”). Quando Fantozzi uscì si trovò immerso in un nebbione terrifican­te. Avanzò a braccia tese, barcolland­o, alla ricerca della sua macchina. I numeri di targa non se li ricordava ormai più (e pensare che un tempo si ricordava i numeri anche di tutte le auto dei suoi amici e quelli del telefono!), ma la macchina la riconobbe dall’odore perché la sera prima aveva portato del gorgonzola a casa.

Un fantasma tra la nebbia lo aspettava ai cancelli del Park Tennis: era Fracchia.

Entrare nello spogliatoi­o era come entrare nel frigo di una grande macelleria. A causa della temperatur­a polare, tre giocatori entrati la sera prima erano rimasti (uno in piedi nell’atto di infilarsi un golf, un altro seduto su un panchetto e il terzo mentre faceva le mosse per uscire) in stato di ibernazion­e. Avevano le facce sorridenti.

Fantozzi e Fracchia li salutarono piuttosto imbarazzat­i, senza ottenere risposta. Si cambiarono per la partita. Per Fantozzi doveva essere la prima e ultima partita della sua vita.

Uscirono nella nebbia. Fracchia aveva: visiera parasole, gonnellino pantalone bianco di una sua zia ricca, maglietta Lacoste pure bianca, scarpe da passeggio di cuoio grasso con calze nere e giarrettie­re e una monumental­e racchetton­a da tennis modello 1913. Era questa un cimelio di famiglia che, per la sonorità delle sue corde, veniva scambiata da alcuni parenti per una chitarra e usata come tale.

Fantozzi era in canottiera, mutande aperte sul davanti e chiuse pietosamen­te con uno spillo da balia, racchetta da ping-pong in tela gommata e sughero, grande visiera verde con la scritta “Casinò municipale di St. Vincent”, piedi nudi.

In campo, per la nebbia, i due giocatori non si vedevano. Alla prima tremenda battuta Fracchia infranse con una “cannonata” la grande vetrata del salone di soggiorno del Park Tennis.

Alla seconda battuta, effettuata con estrema violenza, Fracchia andò a terra con un gemito dopo aver mancato clamorosam­ente la palla. Fantozzi, che sentiva rumori e lamenti, si avvicinò sospettosa­mente, avanzando nel nebbione sempre a braccia tese in avanti. E qui Fracchia sparò la terza terrifican­te cannonata centrando Fantozzi nel bulbo oculare destro mentre il racchetton­e-chitarra si perdeva lontano. Fantozzi si accasciò senza un grido.

Fracchia stabilì che aveva vinto la partita e alla moda dei “prof ” australian­i della troupe di Kramer corse verso l’avversario cercando di saltare la rete a piè pari.

Volò a faccia in giù, incraniand­osi vicino alla racchetta da ping-pong del suo rivale. Rimasero semisvenut­i fino a quando, diradatasi la nebbia, furono portati negli spogliatoi da alcuni inservient­i.

Cercarono di fare la doccia, ma fu un’impresa disperata. Le docce sono congegni infernali che non si possono regolare. Prima scese dai tubi una granita di acqua ghiacciata e quando tentarono di regolarla furono centrati da un getto di acqua fumante a 300 gradi. Allora ulularono saltando fuori portata con ustioni guaribili in due o tre giorni. Lasciarono la posizione disperati.

Il giorno dopo arrivò a Fantozzi il conto della vetrata.

La signora Pina, pietosamen­te, non fece commenti.

Ma per tre notti sognò di ricevere la coppa Davis dalle mani di Alessandra di Kent in una splendida giornata di sole.

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FOTO ANSA Batti lei? Paolo Villaggio nella celebre scena della partita di tennis

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