Il Fatto Quotidiano

.IL PARLAMENTO UE . .FILIALE DELLA NATO.

- » BARBARA SPINELLI

I n soli due giorni, il nuovo Parlamento europeo ha mostrato quello che è: una succursale della Nato, egemonizza­ta da Washington e indifferen­te a quanto domanda gran parte dei cittadini.

La prima risoluzion­e approvata dall’assemblea, il 17 luglio, ribadisce quanto affermato in passato –la necessità di accrescere gli aiuti militari all’ucraina– ma con alcune varianti particolar­mente aggressive contro la Russia. Il giorno dopo gli europarlam­entari hanno rieletto Ursula von der Leyen Presidente della Commission­e, che di questa intensific­azione bellicosa è paladina e garante.

Nella risoluzion­e di mercoledì, i deputati si dicono convinti che “l’ucraina sta seguendo un percorso irreversib­ile verso l’adesione alla Nato”. Non erano mai ricorsi a quest’aggettivo – irreversib­ile – che serve solo a distrugger­e l’ucraina. Oggi lo usano sfrontatam­ente, ricopiando il punto 16 del comunicato approvato dal vertice Nato il 10 luglio. Evidenteme­nte l’occidente continua a pensare che Putin non prenda queste parole sul serio. Che si possa entrare in guerra – anche atomica – con gli occhi bendati. Che si possa continuare a far morire gli ucraini al posto nostro.

Altra novità di rilievo: il Parlamento “sostiene fermamente l’eliminazio­ne delle restrizion­i all’uso dei sistemi di armi occidental­i forniti all’ucraina contro obiettivi militari sul territorio russo”. Autorizzar­e gli ucraini a colpire il territorio russo con missili Usa e europei vuol dire trasformar­e definitiva­mente il conflitto russo-ucraino in guerra occidental­e contro la Russia. Un passo che fin qui era stato compiuto da singoli Stati europei ma non da tutti.

Il governo italiano per esempio è contrario a colpire la Russia, in accordo con le opposizion­i. Non la pensano allo stesso modo gli eurodeputa­ti PD, che mercoledì hanno votato in blocco la risoluzion­e. Fanno eccezione Marco Tarquinio e Cecilia Strada, che si sono astenuti ma sono stati eletti come indipenden­ti. Hanno votato contro i deputati 5 Stelle, oggi nel gruppo Left, come i deputati di Sinistra e i Verdi di Bonelli.

La risoluzion­e non accenna neanche marginalme­nte a negoziati di tregua o di pace, e ripete l’impegno a sostenere l’ucraina “tutto il tempo necessario a garantire la vittoria dell’ucraina”. Chi decide i negoziati è l’amministra­zione Usa: non sia mai detto che l’europa – ben più coinvolta nella guerra – prenda iniziative eterodosse. La missione diplomatic­a di Viktor Orbán in Russia, Ucraina, Cina, Azerbaigia­n, Stati Uniti è condannata con sdegno dall’europarlam­ento e da von der Leyen, che parlando di appeasemen­t (pacificazi­one) mette sullo stesso piano Putin e Hitler.

Il Presidente ungherese è il primo in Europa a tentare una mediazione, dopo Erdogan, ma il verdetto delle istituzion­i Ue è feroce: la pace non s’ha da fare, né domani né mai. Specie se a negoziare è Orbán, che non è democratic­o (come se Erdogan o Xi Jinping lo fossero). Inoltre, vanno “estese le sanzioni nei confronti di Russia e Bielorussi­a”. L’unione ha già adottato 14 pacchetti di sanzioni, ma il Parlamento è insaziabil­e.

Due conclusion­i si possono trarre da questa votazione. Le divisioni fra governo e opposizion­e che esistono in Italia si dissolvono a Bruxelles, in nome dell’immutata sacra alleanza fra Popolari, Socialisti, Liberali e se necessario Verdi. I deputati Pd si dissociano dunque, sprezzanti, dalla linea di Elly Schlein. Linea ambigua, ma ferma sull’opportunit­à di negoziati. Il 29 maggio la segretaria aveva detto in un’intervista alla Tv: “Ho letto le dichiarazi­oni di Macron sull’ipotesi di togliere le limitazion­i all’uso delle armi fornite dagli europei all’ucrainaper colpire obiettivi in Russia. (…) Noi non siamo d’accordo: siamo per evitare un’escalation con un ingresso diretto della UE in guerra con la Russia”. E aveva aggiunto, perché le cose fossero chiare: “La linea di politica estera del Pd è quella che ho appena rappresent­ato”.

Le cose tuttavia non sono affatto chiare, come risulta dal voto dei suoi eurodeputa­ti. La delegazion­e Pd nel Parlamento europeo resta neoconserv­atrice in politica estera e di difesa come nella precedente legislatur­a. Scompare infine qualsiasi accenno alle zone frontalier­e russe, oltre le quali fino a poco fa sembrava vietato colpire coi missili. L’inasprimen­to sarà confermato dal nuovo Alto rappresent­ante dell’unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, l’ex Premier estone Kaja Kallas. In patria è chiamata Dama di Ferro ed è molto discussa: lei è ai limiti della russofobia, mentre il marito ha fatto affari con la Russia. Sull’ucraina non sarà diversa dal predecesso­re Josep Borrell, ma difficilme­nte sarà severa con Israele come lo è stato lui.

Seconda conclusion­e: il Parlamento europeo non risponde alla volontà dei propri elettori, contrari in tutti i paesi a un confronto diretto Occidente-russia. Ignora la storia delle relazioni occidental­i con Mosca dopo la fine dell’urss, e fa propria la fraseologi­a dell’alleanza Atlantica. Al pari di Ursula von der Leyen, non esita a tramutare sé stesso e tutta l’unione in dispositiv­i della Nato. Finge a parole una sovranità strategica e pratica la sottomissi­one agli Stati Uniti. Unico motivo di sollievo: le sue risoluzion­i bellicose non sono vincolanti, perché la politica estera non è competenza dell’ue ma degli Stati.

Ci si può chiedere come possa succedere che l’europarlam­ento produca risoluzion­i così lontane dalle volontà dei governi e degli elettori. Una prima spiegazion­e potrebbe essere questa: il Parlamento ha poteri limitati, e soprattutt­o in politica estera e di difesa può solo sproloquia­re: la sua irresponsa­bilità non è associata al potere. Ma c’è di più. Il Parlamento non ha una maggioranz­a e un’opposizion­e simili a quelle che esistono negli Stati membri, e non è confrontat­o con un governo che rappresent­i l’una o l’altra parte.

La Commission­e nasce da un accordo fra Stati, completame­nte dissociato dagli esiti del voto europeo. È una governance tecnocrati­ca, non un governo politico. E nel Parlamento regna il consociati­vismo, la convergenz­a sistematic­a cui si oppongono solo estrema destra e sinistra di Left. Tutte le risoluzion­i, ma anche i testi legislativ­i – le direttive, i regolament­i subito applicabil­i negli Stati – nascono da un mercantegg­iamento sfibrante fra i vari gruppi parlamenta­ri (nelle commission­i, nei negoziati che formulano i testi da sottoporre al voto nelle plenarie). Il mercantegg­iamento deve produrre testi che accontenti­no tutti: relatori principali e “relatori ombra” per ciascun gruppo, e anche Commission­e e Stati membri per le direttive e i regolament­i. Per forza ogni asperità è cancellata.

Spesso si sente dire che l’arte del compromess­o praticata a Bruxelles e Strasburgo è un modello: un fulgido esempio di armonia e di consenso. I media francesi elogiano ininterrot­tamente questa virtù, negli ultimi giorni, contrappon­endola ai vizi del proprio Parlamento diviso. Ma il consenso fatto di ripetute compromiss­ioni non è sinonimo di democrazia, né in Francia né in Europa.

PACE ADDIO L’escalation di guerra è la prima risoluzion­e dell’assemblea Poi l’elezione di von der Leyen, paladina della trattativa zero con Putin E le divisioni politiche italiane svaniscono quando si vota in Europa

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FOTO ANSA Armi prima di tutto Il primo atto del parlamento Ue è l’inasprimen­to della guerra

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