CASO TOTI, LA POLITICA NON GODE DI ALCUN PRIMATO: LO HA LA LEGGE
Il Tribunale del Riesame di Genova ha rigettato la richiesta di revoca degli arresti domiciliari proposta dai difensori del Presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, indagato per corruzione, spesso impegnato a gestire disinvoltamente la cosa pubblica sul lussuoso yacht del maggiore imprenditore portuale di Genova. L’ordinanza del Tribunale ha fatto insorgere alcuni giuristi circa il mantenimento del Toti agli arresti domiciliari: “L’investitura popolare impone di considerare il rispetto delle scelte compiute dall’elettorato” (Sabino Cassese); “Siamo convinti che nessuna inchiesta può e deve condizionare la legittimità di una carica politica determinata dalla volontà popolare” (Carlo Nordio, ministro di Giustizia).
Queste considerazioni del tutto fuori luogo trovano sostanzialmente il loro erroneo presupposto sull’inesistente principio, inventato da taluni giuristi politicanti, del “primato della politica”, laddove nel nostro ordinamento esiste, invece, il principio costituzionale del “primato della legge” secondo il quale “tutti i cittadini sono uguali innanzi alla legge” (articolo 3 della Costituzione). Ciò premesso, deve osservarsi che lo zelante Nordio ha prontamente acquisito, su richiesta di due membri laici del Csm, l’ordinanza in questione e – confermandosi pessimo ministro non avendo ancora compreso che la sua carica gli impone di astenersi da qualsiasi commento – ha così impropriamente ed in tono irridente, commentato: “Posso dire che ho letto l’ordinanza con grande attenzione, e che di recente ho anche riletto con grande attenzione la Fenomenologia dello spirito di Hegel e sono riuscito a capirla. Ho letto questa ordinanza e non ho capito nulla.”
A parte che l’ordinanza ha una motivazione quanto mai chiara ed esaustiva, la dichiarazione del ministro è gravissima perché delegittima la decisione e i giudici che l’hanno adottata, i quali avrebbero emesso un provvedimento giurisdizionale incomprensibile, venendo meno al dovere, insito nella loro funzione, di esporre con chiarezza i motivi che hanno determinato la decisione in modo da consentire all’imputato e ai suoi difensori di comprendere agevolmente il percorso argomentativo seguito dal giudice, anche al fine di approntare un’adeguata difesa. In sostanza, Nordio muove ai giudici l’accusa di un deficit di professionalità, circostanza questa che può essere pregiudizievole per la carriera del magistrato, sottoposto periodicamente alla valutazione della professionalità da parte del Csm.
Peraltro, l’iniziativa delle due componenti laiche – una in quota FDI, l’altra in quota Lega – era irrituale poiché esse avevano quale unica facoltà quella di chiedere al Comitato di Presidenza l’apertura di una procedura di trasferimento di ufficio di un magistrato (di cui, però, nella specie, non ricorrevano i presupposti), ma non certo quella di investire il ministro di Giustizia per valutare “profili di illecito disciplinare per abnormità, illogicità della motivazione ed emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale fuori dei casi consentiti dalla legge” .
Del resto, dal suo canto, il ministro (il quale ha affermato che “l’iniziativa del Csm gli aveva imposto di acquisire l’ordinanza”, mentre si è trattato di una iniziativa di singoli membri) non ha alcun potere ispettivo né di richiesta disciplinare in ordine al merito (vale a dire alla motivazione circa la conferma della misura cautelare) di un provvedimento giurisdizionale (emesso nei casi e nei termini previsti dalla legge), censurabile solo con lo strumento della impugnazione. In conclusione, si tratta di iniziative che possono rappresentare un pericoloso segnale per l’autonomia e l’indipendenza dei giudici e necessitano di pronte e adeguate risposte in sede istituzionale e associativa.
GIUSTIZIA NORDIO ACCUSA I GIUDICI DI DEFICIT DI PROFESSIONALITÀ: UN ATTACCO ALL’AUTONOMIA