C’eravamo tanto amate da Lampedusa al Cairo
Ora è un bel guaio ripresentarsi agli occhi dell'opinione pubblica come la Giorgia di una volta: avversaria delle burocrazie europee, paladina dell'interesse nazionale, fustigatrice dell'inciucio tra le solite, vetuste famiglie politiche di Bruxelles.
Perché Meloni che vota contro Ursula e torna all'antica versione battagliera, è la stessa che ha frequentato von der Leyen spesso e volentieri nei mesi che hanno preceduto la sua rielezione, cercando la sua sponda per le battaglie sull'immigrazione e usando il loro rapporto per legittimarsi in campo internazionale.
L'album fotografico di Giorgia e Ursula si apre lo scorso 17 settembre con le cartoline da Lampedusa. La visita di von der Leyen nell'isola simbolo della questione migranti per Meloni fu un fatto storico: “Chiunque abbia un'onestà intellettuale in questa nazione – commentò la premier, entusiasta – deve riconoscere che la presidente della Commissione europea questa mattina ha pronunciato parole in tema di immigrazione che dall'europa non erano mai state pronunciate”, tali da giustificare addirittura “una rivoluzione copernicana”.
A gennaio la presidente della commissione europea è venuta in Italia due volte in due settimane: il 17 per una passerella assieme alla premier a Forlì, nelle zone alluvionate dell'emilia-romagna; il 29 a Roma in occasione del vertice Italia-africa, con un intervento in Senato introdotto da un saluto particolarmente affettuoso verso la premier (“cara Giorgia”) e concluso con un benevolo riferimento al cosiddetto Piano Mattei del governo (“Enrico Mattei era un grande italiano, un grande europeo e un amico autentico dell'africa... Stiamo lavorando bene: avanti così, c'è molto da fare”).
Infine, il 17 marzo, in piena campagna per il voto europeo, le due ex amiche si sono ritrovate al Cairo, in Egitto, per siglare un memorandum sull'immigrazione utile soprattutto per le reciproche fortune elettorali: il momento più alto di un rapporto fiorito all'improvviso e sfiorito ancora più rapidamente. al momento è difficile prevedere che sia tra quelli di fascia alta. Nemmeno l’attuale incarico di Paolo Gentiloni, che ha gestito l’economia, era tra quelli più importanti.
SCORRENDO le linee guida del programma di von der Leyen, un ruolo decisivo sarà quello che presiederà le riforme del mercato unico europeo per migliorare la competitività. Oggi buona parte di quelle competenze sono nelle mani del francese Thierry Breton che il presidente Emmanuel Macron vorrebbe confermare (ma dipende anche dall’evoluzione della crisi politica in Francia). Altro portafoglio importante sarà certamente quello del nuovo Commissario alla Difesa (anche qui le competenze sono nelle mani di Breton) e pure questo sembra fuori dalla portata dell’italia. Che punta, con Fitto, alle deleghe sul Pnrr, ma che potrebbe ben vedere quell’incarico di “vicepresidente responsabile per l’attuazione, la semplificazione e le relazioni interistituzionali” indicato come centrale nel programma di von der Leyen.
L’assegnazione all’italia potrebbe essere un risultato positivo, ma dipenderà poi anche dalle deleghe effettive: se si limitasse a un incarico, senza poteri effettivi, per consigliare quale leggi snellire, sarebbe l’ennesima sconfitta.