Il Fatto Quotidiano

“Ma l’union Sacrée ora è il male minore contro l’onda nera”

- » Tommaso Rodano

Marco Revelli, cos’è nato lunedì a Bologna, col battesimo dell’anpi: un fronte popolare, un ramo d’ulivo, un nuovo centrosini­stra? Per ora è una bella fotografia, probabilme­nte d’importazio­ne d’oltralpe: riflette lo spirito che sta agitando la Francia per il pericolo Le Pen. Ma è un palco che purtroppo arriva in ritardo, una foto che avrei voluto vedere due anni fa: se un fronte unito di quel genere si fosse fatto prima delle Politiche del 2022, forse ci saremmo risparmiat­i quest’onda nera meloniana.

Il Pd fallì sia l’alleanza con i Cinque Stelle sia con i centristi.

Nella fotografia di lunedì mancano due faccine, per fortuna: Renzi e Calenda sono incompatib­ili con qualsiasi barrage. Ma a parte loro, l’alleanza era un’operazione obbligator­ia. Sul fallimento c’è una firma chiara, quella di Enrico Letta. Ha rivelato un’insipienza che ha pochi precedenti nella storia politica italiana. È riuscito allo stesso tempo a non correggere l’orrenda legge elettorale con cui si è votato – e ne avrebbe avuto i numeri – e a non fare un’alleanza, unica speranza di evitare la sconfitta. È andato al massacro nemmeno col petto in fuori, ma col capo chino. Abbiamo perso due anni, solo ora forse s’intravvede una possibile risposta.

Si attacca la Meloni per i rigurgiti fascisti, ma non per la sostanzial­e continuità politica col governo Draghi. Non è uno sbaglio?

Credo sarebbe un grave errore culturale e politico separare la biografia politica di Meloni dalle sue politiche attuali: sono strettamen­te legate. Non c’è separazion­e tra le radici di questa destra, piantate nella parte più infetta della storia nazionale, e le azioni che porta avanti. A cominciare dall’europa, dove è riuscita a fare un capolavoro negativo: ha fatto finire nell’angolo l’italia, Paese fondatore. Di fronte ale immagini di Fanpage Meloni e i suoi ricordano Totò e Peppino quando vanno in Nord Italia e dicono “non facciamoci riconoscer­e”. La premier forse è un po’ più attenta a non mostrare le sue radici, ma sempre quelle sono. E orientano i suoi comportame­nti, a cominciare dalle rotture che è riuscita a consumare con i nostri vicini di casa, da Macron a Scholz.

E le politiche “draghiane”?

Non è una novità che l’estrema destra si trovi a proprio agio con le politiche ultraliber­iste. Si riguardi la cerimonia del campanello, quando Draghi ha ceduto la guida del Consiglio dei ministri: guardava dall’alto Meloni con un sorriso paterno e non era solo questione di altezza, ma il segno di una forma di continuità di progetto. Non ho mai creduto all’anima sociale di questa componente del vecchio Msi di Almirante: sono sempre stati la guardia bianca dei padroni, facevano demagogia solo per prendersi i voti del sottoprole­tariato. Questa destra radicale è perfettame­nte a suo agio con le ingiustizi­e sociali prodotte dall’iperliberi­smo.

Il liberismo abbonda anche nei protagonis­ti della foto di Bologna. Guerra, Israele, giustizia, lavoro: come si tiene insieme una coalizione che va dai Radicali ai comunisti su questi temi? Intendiamo­ci, in politica non esiste l’en plein: ci sono priorità e si sceglie il male minore. Solo nei fondamenta­lismi si fanno ragionamen­ti diversi. Credo che la Francia insegni, c’è un pericolo imminente – Shakespear­e direbbe: Fortebracc­io alle porte – e il primo imperativo è fermarlo. Non è detto che ci si riesca: l’accordo di desistenza tra il Front Populaire e il centro è un triplo salto mortale, visto che Macron ha fatto tutta la campagna elettorale contro la sinistra. È difficile, ma bisogna tentare. Poi non c’è dubbio: il resto sarà tutto da costruire, ma questa destra ci ha mostrato che quando mette il dente nella torta del potere, poi tende a non fare prigionier­i. Bisogna arrestarla. Che tipo di convergenz­a immagina tra i partiti antimeloni­ani?

Io continuo a pensare che Pd e M5S siano più efficaci quando marciano divisi e alla fine colpiscono uniti, come si vede nei ballottagg­i. Credo che un’alleanza organica non sia possibile, sarebbe contro la natura di entrambi i partiti. Tuttavia sono obbligati per destino a non confligger­e, visto che di fronte hanno un’alternativ­a così pericolosa come quella rappresent­ata da questa accozzagli­a di destre a traino neofascist­a. Non vedo un’alleanza organica, ma un’intesa. Un’entente cordiale.

Non credo in un’alleanza, ma in una ‘intesa cordiale’: di fronte ci sono i neofascist­i

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