«Vi presento Milva»
Dopo il libro, la figlia Martina Corgnati racconta l’artista nel documentario «Diva per sempre»
La spiaggia di Goro. Una canzone, L’immensità. La sua voce fuoricampo che non puoi confondere. Appare Iva Zanicchi. Categorica. «Basta dimenticare Milva. È l’unica cantante italiana che ha davvero cantato in tutto il mondo». Si apre così il documentario Milva, diva per sempre, presentato ieri in anteprima al cinema Barberini di Roma. Diretto da Angelo Longoni, prodotto da Elide Melli per Cosmo P. Eu con Rai Documentari, andrà in onda il 3 maggio in prima serata su Rai Tre. Un omaggio alla figura di Milva con materiale di repertorio, testimonianze, a partire da sua figlia, la storica dell’arte Martina Corgnati. E di Theodorakis, Vangelis, Jannacci, Malgioglio, Battiato, Piazzolla, Alda Merini, eccetera. Ripercorriamo quel viaggio con Martina Corgnati, sapendo che «il tempo è sempre poco per ricordare Milva».
Ha scritto per La nave di Teseo il volume «Milva, l’ultima diva» e ora il documentario la celebra diva per sempre: condivide?
«Il titolo secondo me è bellissimo perché esprime una cosa che mi piacerebbe molto potesse accadere: trasmettere nel tempo non solo la memoria ma la forza, l’impatto, il dono che questa grande personalità artistica ha fatto al mondo».
Emerge una triade: personalità, voce straordinaria e chioma rossa a cui teneva moltissimo.
«La chioma rossa era la sua cifra. Come la personalità e la bellezza. Ma il suo migliore merito a parer mio è la capacità interpretativa, l’elasticità riconosciuta ovunque. E a tre anni dalla sua scomparsa (cade il 23 aprile) tutti sono ancora impressionati dal ricordo di lei».
Il periodo più felice?
«Gli anni 80. Nell’82 lavorò con Berio, debuttò alla Scala: quante cantanti pop hanno cantato alla Scala? Nessuna».
Jannacci, dice il film, tolse a Milva un’aura snob.
«Mai stata snob. Era timida. Mia madre non aveva un retroterra culturale solido. Veniva da una condizione familiare molto umile e non lo ha mai nascosto».
L’opera apre e chiude su Goro, lei da giovane visse a
Bologna: quanto è rimasto delle origini?
«Molto. Bologna era importante per lei e non a caso ho donato l’archivio all’Università. Peraltro c’è stata una bella mostra al Museo della Musica. Un archivio di 62 casse per molta parte inesplorato. Sono molto grata all’Ateneo, da sola non avrei potuto intraprendere una digitalizzazione di migliaia di documenti in 14 lingue».
Milva cattolica, di sinistra e dalla grande apertura mentale come si troverebbe oggi?
«Sicuramente male. Siamo di fronte a un crollo di valori, relazioni, forme di libertà, diritti. Non le sarebbe piaciuto. Anche per la formazione che ereditò dal Piccolo e da Strehler».
Che figura fu per lei?
«Essenziale. La trasformò da cantante a interprete. Un imprinting che le resterà addosso tutta la vita. Sul suo comodino teneva un’immagine di Gesù e le foto di mio padre, di una sua cugina morta ragazzina e di Strehler».
Bologna per lei era una città molto importante Strehler la trasformò in una interprete Oggi? Da cattolica di sinistra si troverebbe male di fronte a questo tracollo di valori
Domanda personale: non si sentiva sola?
«Sì, è vero. Stavo sempre con la nonna, l’amatissima Noemi, ma sono certa che la relazione sia stata molto forte lo stesso. Non è stata una madre normale, mi sono mancate delle cose, come anche a lei. Ci siamo alleate su valori adulti. Era molto fiera di me, delle mie due lauree, i miei libri. Certo era impegnativo per una ragazza. Per tutti sei la figlia di Milva e tu ti rompi le scatole perché vuoi essere te stessa».