«Genus a gestori privati da fuori? Una sconfitta per tutta Bologna Il Polo di Roversi meritava di più»
Ciancabilla è docente e curatore: «Non si investe sulle mostre»
Professor Luca Ciancabilla, negli scorsi anni ha collaborato con Roversi Monaco e quindi Genus Bonionae, è rimasto sorpreso del bando annunciato dalla Fondazione Carisbo per trovare un gestore del proprio Polo museale?
«Sì, anche se obbiettivamente era da un po’ che Casa Saraceni voleva cambiare la situazione, almeno così si leggeva sui giornali».
Come giudica questa scelta?
«Non mi pare un rilancio, ma una ritirata. Del resto in questi tre anni senza Roversi non mi pare abbiamo fatto mostre all’altezza delle precedenti. Questa esternalizzazione la vedo come un disimpegno, un abbandono».
I tempi del bando, assai rigoroso nell’individuazione di un soggetto gestore, sono strettissimi. Non si esclude ci sia già un accordo con Palazzo d’Accursio per Palazzo Pepoli.
«La bellezza del progetto di Roversi era di essere un’alternativa alle proposte pubbliche. Da quanto tempo è che il comune non fa una grande mostra? Ecco, mi viene in mente quella su Pompei all’Archeologico.
Non so quanto il Comune investa già adesso nei propri musei, ma in ogni caso dovesse inglobare un pezzo di Genus vedrei un impoverimento di voci diverse, di pluralità».
Ovvero?
«Le cose che ora funzionano a Bologna sono le fonda
zioni private, da quella di Golinelli che propone sempre eventi all’altezza, a quella della Seragnoli, per finire con le proposte di Palazzo Bentivoglio, di Vacchi e Rossi: tutti soggetti privati , come appunto Genus Bonionae che era un’altra voce».
Teme un appiattimento?
«Un po’. In regione come offerta reggono Ferrara, Forlì e un po’ Parma… Genus aveva costanza, pubblico affezionato, proponendo mostre importanti, ma non di cassetta, mostre di ricerca e di studio, basti pensare all’operazione incredibile di Roversi col Polittico Griffoni».
La Fondazione non vuole più investire tutti quei soldi nel Polo Museale.
«Vero, le mostre non rendono, se non quelle di cassette. Quelle di ricerche costano, ma c’è il rientro per la città. E dove le fanno bene non è detto che non guadagnino. A Firenze Palazzo Strozzi è un esempio positivo: privato con piccola partecipazione pubblica, mi pare. Certe cose bisogna saperle fare: l’ultima mostra di Roversi, per dire, fu quella di Samorì, di valore».
Quindi per fare ricerca, non proporre i soliti nomi e far tornare i conti come si fa?
«Servono progetti intelligenti e persone competenti. Mi spiace che la Fondazione non abbia trovato nessuno in città…».
A Bologna non ci sono realtà così strutturate come richiede il bando: chi aderirà?
«Non ne ho idea. Mantenendo una matrice bolognese, credo che avrebbero potuto individuare una figura in grado di organizzare e coordinare uno staff di lavoro. Se non sono già d’accordo con il Comune, potrei pensare al gruppo Galleria d’Italia, che organizza mostre molto belle, e che è di Banca Intesa. Il loro modello è vincente, ma mi spiacerebbe se si perdessero le radici cittadine».
Ha parlato con Roversi Monaco con cui realizzò la mostra sulla street art?
Le mostre di ricerca costano, ma c’è il rientro per la città. E dove le fanno bene non è detto che non guadagnino
«Non ancora, ma lo farò. Il prof ha fatto davvero tanto, a Genus come all’Università: ha dato aria nuova e questa creatura non merita di finire così. La Fondazione non l’ha seguito. Bologna non ha bisogno del visitatore che viene a vedere Van Gogh, mangia un panino e va via. Ha bisogno di tante voci. Pur sapendo che quella storia stupenda è finita, avrei preferito una soluzione interna e non un’esternalizzazione».