Da Reading all’Estragon Club rumore e melodia degli Slowdive
Il concerto della band divenuta simbolo della musica shoegaze
Avolte, anzi spesso, nel circo del rock non è importante quante copie hai venduto in carriera ma piuttosto il tuo valore artistico, il tuo essere stato l’apripista di un genere musicale, o aver pubblicato dischi che sono stati presi a esempio da colleghi e ascoltatori. Gli Slowdive, in concerto domani all’Estragon Club (ore 21, sold out), fanno parte di questa ciurma. Al gruppo inglese, nato a Reading nel 1989, sono bastati due album e i primi tre singoli per entrare nella storia dello shoegaze, genere musicale caratterizzato da suoni di chitarre distorti e stratificati, con l’uso massiccio di effetti rumorosi che fanno da contraltare a voci melodiche.
Il termine shoegaze fu, infatti, coniato dalla stampa specializzata per descrivere i musicisti che dal vivo avevano sempre lo sguardo rivolto ai loro piedi intenti a schiacciare gli effetti a pedale. Gli Slowdive, nati per volere di Rachel Goswell (chitarra e voce), Neil Halstead (chitarra e voce) e Christian Savill (chitarra), si misero subito in mostra firmando, ancora a digiuno di pubblicazioni discografiche, con la Creation, la casa discografica che meglio di tutte ha saputo intercettare i nuovi suoni inglesi anni ’90, è stata l’etichetta che scoprii gli Oasis.
Un primo ep del 1990 pose l’attenzione sulla band capace di sinfonie distorte ed intrecci vocali. Un secondo ep del 1991, Morningrise e un terzo disco, Holding our breath, prepararono il terreno per l’esordio sulla lunga distanza Just for a Day, ritenuto una pietra miliare dello shoegaze, in grado di indicare le direttive di questi suoni. Un secondo epocale album, Souvlaki, portò a un terzo lp molto più sperimentale, Pygmalion, che decretò la fine degli Slowdive. Nel 2014, a quasi vent’anni dallo scioglimento, la band si è ricucita, pubblicando un nuovo capitolo, Slowdive, a cui l’anno scorso ha fatto seguito Everything is alive, un tributo alla madre di Rachel Goswell e al padre di Simon Scott, deceduti nel 2020.
«Il nuovo album è carico di esperienza, ma ogni nota è equilibrata, saggia e necessariamente incline alla speranza. La sua unica alchimia incarna sottilmente tristezza e gratitudine, radicamento ed elevazione», ha dichiarato Rachel Goswell, mentre Neil Halstead ha aggiunto: «Non sarebbe giusto fare un disco davvero oscuro in questo momento. L’album è piuttosto eclettico dal punto di vista emotivo, ma dà una sensazione di speranza». Il nome degli Slowdive è tornato a risplendere come un Sole accecante. «Siamo sempre venuti da direzioni leggermente diverse e i nostri pezzi migliori sono quelli in cui ci incontriamo tutti nel mezzo», ha detto Halstead, incalzato dalla Goswell: «Gli Slowdive sono la somma delle loro parti».