Corriere di Bologna

Favelli riapre il suo rifugio con «Try again. Fail again. Fail better»

- P.D.D.

Jugopetrol è lo spazio rifugio di Flavio Favelli. In un interno cortile di via Silvani 10/A, di fianco al ristorante cinese Soon, alle spalle del Mambo. Ambienti comunicant­i con pareti in cartongess­o e lunghi neon in alto. In occasione della cinquantes­ima edizione di «Arte Fiera», Favelli riapre al pubblico il suo spazio per la mostra «Try again. Fail again. Fail better», che si inaugura oggi dalle 18 alle 21.

Tre blocchi di opere, di Favelli, del croato Igor Grubic e del messicano Juan Pablo Macías, che vive a Livorno. Il padrone di casa presenta una serie di sue opere fra collage, assemblagg­i, composizio­ni di vari documenti e prodotti autentici appartenen­ti a un tempo recente, vissuto dall’artista, che indagano i segni e simboli tipici dell’identità italiana ma anche i suoi conflitti. Adesivi pubblicita­ri, biglietti, copertine di libri, con anche un esemplare dei primi cataloghi di «Arte Fiera» degli anni Settanta, francoboll­i, banconote e ritagli di giornali ormai distanti dal gusto popolare.

Macías espone una serie di lavori incisi a puntasecca su lastre trovate e in procinto di essere smaltite. Le lastre sono state recuperate a Firenze, nell’atelier della Fondazione il Bisonte, dove si è realizzata l’opera. Nel cortile, invece, è conservata un’urna in pietra, con incisioni etrusche, contenente le ceneri della sua fondatrice, Maria Luigia Guaita. Da questo incontro nasce guaita_bisonte_proudhon_jousse, cinque incisioni con testi tradotti in alfabeto etrusco e stampati su carta giapponese da 20 grammi. I testi sono ripresi da citazioni dell’economista, politico, filosofo e anarchico Pierre-Joseph Proudhon, altri sono termini in aramaico tratti dal libro L’Antropolog­ia del Gesto di Marcel Jousse, antropolog­o gesuita che studia l’importanza del gesto e delle sue implicazio­ni nella creatività e nell’evoluzione umana. La serie di collage di Grubic nasce infine dall’interesse che l’artista ha sviluppato negli anni Novanta per l’ideologia del Costruttiv­ismo Russo. Grubic ha utilizzato i due colori base rosso e nero e ha giocato con le forme per creare messaggi che diventano come una campagna minimalist­a agitprop. Ideogrammi che delineano un orizzonte utopico, accompagna­ti da scritte, immagini iconiche o personaggi, da Vladimir Majakovski­j a Sergei Ejzenstejn.

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Il manifesto di Arte Fiera del 1976 conservato dall’artista Flavio Favelli che si è formato all’Accademia di Bologna. Oltre a Favelli in mostra opere di Igor Grubic e del messicano Juan Pablo Macías
Memoria Il manifesto di Arte Fiera del 1976 conservato dall’artista Flavio Favelli che si è formato all’Accademia di Bologna. Oltre a Favelli in mostra opere di Igor Grubic e del messicano Juan Pablo Macías
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Protagonis­ta Flavio Favelli, in un cortile interno di via Silvani il suo rifugio

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