Se l’artista esplora la città inquietante
Art City Al Mambo la prima personale dedicata alla piemontese Carbotta Tra video e installazioni. Balbi: «Ulteriore tassello dell’indagine sull’oggi»
C’è una città abitata da una sola persona. Si chiama Monowe, ed è stata creata proprio a Bologna nel 2016, a partire dall’installazione «Monowe (Entrance to the City)» al Parco del Cavaticcio in occasione dell’iniziativa «ON». La creazione della 41enne artista torinese Ludovica Carbotta, che oggi vive a Barcellona, nel tempo si è arricchita di nuovi capitoli, come racconta la prima antologica in Italia dedicata all’artista. «Ludovica Carbotta. Very well, on My Own», progetto realizzato grazie al programma «Italian Council» del MiC, a cura di Lorenzo Balbi con l’assistenza curatoriale di Sabrina Samorì, si inaugura oggi alle 18 nella Sala delle Ciminiere del Mambo. Balbi e Carbotta sono legati da un lungo rapporto di amicizia, come traspare da una conversazione a due contenuta nel libro che accompagna l’esposizione. Per Balbi la mostra è un ulteriore tassello «dell’indagine che il Mambo sta portando avanti sull’arte italiana del presente».
Il percorso culmina nell’ultima stanza, in un mediometraggio che riprende il progetto «Monowe». Ambientato all’interno di un tribunale, con un processo a carico della sola abitante della città colta nelle sue differenti fasi, infanzia, adolescenza, età adulta e vecchiaia. Descrivendo la progressiva perdita di coscienza della cittadina e l’inesistenza della pluralità nei luoghi istituzionali, il film rimarca il pericolo insito nella sparizione della comunità. Come conferma l’artista, «per me era importante arrivare a questo film dopo che il progetto è passato per sculture, performance, scrittura. Non si tratta di una città utopica, ma di uno spazio mentale di un cittadino che potrebbe essere chiunque e che rimette in scena il suo rapporto con spazi come la casa, il museo, la fabbrica».
Carbotta è da sempre interessata al modo in cui le città si relazionano con chi le percorre. Nella prima sala un video la riprende mentre resta ferma vicino a un palo, in una strada trafficata: «Pur non facendo niente, questo comunque destabilizzava chi passava. Un comportamento appena fuori dalla norma faceva preoccupare». L’indagine sul rapporto tra abitanti e tessuto urbano affiora anche da lavori meno recenti come Non definire la superficie del 2011, dove lei stessa cerca di attraversare la città senza proiettare la propria ombra, mettendo in atto l’improbabile sparizione della propria fisicità dalla scena.
Il corpo è centrale anche nell’installazione site-specific Images of Others Have Become Parts of the Self, realizzato dall’artista direttamente nella sala. Costruendo, senza l’ausilio di un progetto, una struttura lignea in grado di sostenere il suo peso e di portarlo il più in alto possibile. Il confronto con la dimensione urbana ritorna anche in lavori come Wrapped in Thought (Costruttore di mondi molto simili al nostro) e Invisibile Modulor, che traducono polvere e sporcizia urbana in materia artistica. E come Cast Bloc, posta all’inizio della Sala delle Ciminiere, una barriera che si frappone tra l’area espositiva e i fruitori.
Un’altra serie è Die Telamonen, una famiglia di sculture in cui ciascuna è la riproduzione dell’altra. A ognuna di esse sono poi attribuite un nome e un’età. Il ricorso alla memoria è rintracciabile anche nell’installazione The Original Is Unfaithful to the Translation, composta da elementi architettonici che riproducono alcune delle stanze in cui l’artista ha vissuto, esattamente come la sua mente le ha conservate. Plenum è stata invece realizzata a partire dall’analisi degli scavi archeologici della sinagoga di Ostia Antica, accompagnata dalla registrazione di una voce e da un segnale audio che rafforza l’evocazione di un’ambientazione a venire.
In altri lavori, poi, l’artista piemontese ipotizza l’impatto di calamità naturali sulle città, come in Dodici e un minuto, o immagina un futuro prossimo in cui infrastrutture e altri non luoghi si trasformano in abitazioni come in Overcrowded Village. La mostra si conclude con una selezione di opere che adoperano la tecnica del calco e con Solid Void, video in stop-motion su una carta topografica della città di Torino, da cui sono state però eliminate le aree di circolazione. La città inquietante di Carbotta, un unicum privo di passaggi, chiuso su sé stesso e privo di luoghi attraversabili dalle persone.