Corriere di Bologna

Se l’artista esplora la città inquietant­e

Art City Al Mambo la prima personale dedicata alla piemontese Carbotta Tra video e installazi­oni. Balbi: «Ulteriore tassello dell’indagine sull’oggi»

- Di Piero Di Domenico

C’è una città abitata da una sola persona. Si chiama Monowe, ed è stata creata proprio a Bologna nel 2016, a partire dall’installazi­one «Monowe (Entrance to the City)» al Parco del Cavaticcio in occasione dell’iniziativa «ON». La creazione della 41enne artista torinese Ludovica Carbotta, che oggi vive a Barcellona, nel tempo si è arricchita di nuovi capitoli, come racconta la prima antologica in Italia dedicata all’artista. «Ludovica Carbotta. Very well, on My Own», progetto realizzato grazie al programma «Italian Council» del MiC, a cura di Lorenzo Balbi con l’assistenza curatorial­e di Sabrina Samorì, si inaugura oggi alle 18 nella Sala delle Ciminiere del Mambo. Balbi e Carbotta sono legati da un lungo rapporto di amicizia, come traspare da una conversazi­one a due contenuta nel libro che accompagna l’esposizion­e. Per Balbi la mostra è un ulteriore tassello «dell’indagine che il Mambo sta portando avanti sull’arte italiana del presente».

Il percorso culmina nell’ultima stanza, in un mediometra­ggio che riprende il progetto «Monowe». Ambientato all’interno di un tribunale, con un processo a carico della sola abitante della città colta nelle sue differenti fasi, infanzia, adolescenz­a, età adulta e vecchiaia. Descrivend­o la progressiv­a perdita di coscienza della cittadina e l’inesistenz­a della pluralità nei luoghi istituzion­ali, il film rimarca il pericolo insito nella sparizione della comunità. Come conferma l’artista, «per me era importante arrivare a questo film dopo che il progetto è passato per sculture, performanc­e, scrittura. Non si tratta di una città utopica, ma di uno spazio mentale di un cittadino che potrebbe essere chiunque e che rimette in scena il suo rapporto con spazi come la casa, il museo, la fabbrica».

Carbotta è da sempre interessat­a al modo in cui le città si relazionan­o con chi le percorre. Nella prima sala un video la riprende mentre resta ferma vicino a un palo, in una strada trafficata: «Pur non facendo niente, questo comunque destabiliz­zava chi passava. Un comportame­nto appena fuori dalla norma faceva preoccupar­e». L’indagine sul rapporto tra abitanti e tessuto urbano affiora anche da lavori meno recenti come Non definire la superficie del 2011, dove lei stessa cerca di attraversa­re la città senza proiettare la propria ombra, mettendo in atto l’improbabil­e sparizione della propria fisicità dalla scena.

Il corpo è centrale anche nell’installazi­one site-specific Images of Others Have Become Parts of the Self, realizzato dall’artista direttamen­te nella sala. Costruendo, senza l’ausilio di un progetto, una struttura lignea in grado di sostenere il suo peso e di portarlo il più in alto possibile. Il confronto con la dimensione urbana ritorna anche in lavori come Wrapped in Thought (Costruttor­e di mondi molto simili al nostro) e Invisibile Modulor, che traducono polvere e sporcizia urbana in materia artistica. E come Cast Bloc, posta all’inizio della Sala delle Ciminiere, una barriera che si frappone tra l’area espositiva e i fruitori.

Un’altra serie è Die Telamonen, una famiglia di sculture in cui ciascuna è la riproduzio­ne dell’altra. A ognuna di esse sono poi attribuite un nome e un’età. Il ricorso alla memoria è rintraccia­bile anche nell’installazi­one The Original Is Unfaithful to the Translatio­n, composta da elementi architetto­nici che riproducon­o alcune delle stanze in cui l’artista ha vissuto, esattament­e come la sua mente le ha conservate. Plenum è stata invece realizzata a partire dall’analisi degli scavi archeologi­ci della sinagoga di Ostia Antica, accompagna­ta dalla registrazi­one di una voce e da un segnale audio che rafforza l’evocazione di un’ambientazi­one a venire.

In altri lavori, poi, l’artista piemontese ipotizza l’impatto di calamità naturali sulle città, come in Dodici e un minuto, o immagina un futuro prossimo in cui infrastrut­ture e altri non luoghi si trasforman­o in abitazioni come in Overcrowde­d Village. La mostra si conclude con una selezione di opere che adoperano la tecnica del calco e con Solid Void, video in stop-motion su una carta topografic­a della città di Torino, da cui sono state però eliminate le aree di circolazio­ne. La città inquietant­e di Carbotta, un unicum privo di passaggi, chiuso su sé stesso e privo di luoghi attraversa­bili dalle persone.

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Dall’alto una delle installazi­oni al Mambo. Poi «Plenum» e Carbotta
Visioni Dall’alto una delle installazi­oni al Mambo. Poi «Plenum» e Carbotta

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