LIBERTÀ DI PAROLA NEL REGNO UNITO: IN CAMPO I «NOBEL»
Il Labour britannico si piega alla cancel culture, ma gli intellettuali del Regno non ci stanno: sette premi Nobel, fra i quali Sir John Gurdon, il padre degli studi che portarono alla clonazione della pecora Dolly, hanno sottoscritto l’appello contro la decisione del governo guidato da Keir Starmer di cestinare la legge a protezione della libertà di parola in ambito accademico, che era stata introdotta dai conservatori. Il provvedimento obbligava le università a garantire spazio alla diversità di opinione, pena sanzioni: ma la nuova ministra dell’istruzione, Bridget Phillipson, fra i suoi primi atti ha sospeso la legge a tempo indeterminato. In reazione, oltre 600 accademici hanno firmato una petizione che chiede di restaurare la legge: fra di loro si contano il biologo Richard Dawkins, noto critico della religione e autore de «L’illusione di Dio», lo storico Niall Ferguson e la filosofa Kathleen Stock, che era stata cacciata a furor di popolo dalla sua università per le sue vedute critiche sull’ideologia gender, oltre a 50 professori di Oxford e 30 di Cambridge, fra cui gli eminenti storici David Abulafia e Robert Tombs. Nell’appello si afferma che «la decisione di bloccare la legge sembra riflettere la visione, diffusa fra i suoi oppositori, che non ci sia un problema di libertà di parola nelle università britanniche. Niente potrebbe essere più falso. Centinaia di accademici e studenti sono stati perseguitati, censurati, silenziati o perfino licenziati negli ultimi 20 anni per aver espresso opinioni legalmente legittime. Questo stato delle cose ha serie conseguenze per tutti noi». Ciò a cui si fa riferimento è l’egemonia, nel mondo accademico anglosassone, della cosiddetta cultura woke, la forma estrema del politicamente corretto, che spesso finisce per considerare inaccettabili vedute difformi su questioni che vanno dall’imperialismo all’identità di genere, col risultato di sfociare nella migliore delle ipotesi nell’autocensura, se non nell’emarginazione: quella che si chiama la cancel culture. Il governo laburista ha sostenuto che la libertà di parola portata alla ultime conseguenze rischia di aprire la strada ad antisemiti e negazionisti dell’olocausto: ma gli accademici ribattono che ci sono già leggi contro l’incitamento all’odio che garantiscono da questi pericoli. Il dibattito sulla libertà di espressione e sui suoi eventuali limiti è ovviamente delicato: ma il governo laburista sembra voler far pendere la bilancia dalla parte di chi preferisce silenziare il dissenso.