«In viaggio con i nonni cantando la canzone del Piave»
Mio nonno Nicola vide il bello delle Dolomiti da pensionato; era uomo di mare, figlio di emigrati pugliesi in Egitto per scavare il Canale di Suez, era nato ad Ismailia, parlava e scriveva correttamente l’arabo, aveva studiato sin dalle scuole superiori da solo in Italia, presso i Salesiani a Perugia, fino alla laurea in medicina. Conobbe nonna Anna nelle domeniche che era ospite dello zio. Si partiva per la montagna in luglio. La Ford marrone del nonno veniva caricata a dovere, si preparavano i panini, il thermos di caffè, la mappa stradale, le valigie di pelle. Con noi veniva spesso la zia nubile, la più grande delle sorelle di mia nonna, aveva studiato a Firenze, era «signorina», una dissidente. Si arrivava dunque nei pressi del Rubicone e cambiava il mondo. Agli occhi di una ragazzina di montagna la Pianura Padana era un mistero. Passato il
Po si cambiava scenario; l’autostrada dai cartelli verdi, non visibili in Umbria, chiamava ripetutamente l’uscita di Nogarole Rocca e allora si intonava «La leggenda del Piave». Nonna lo trascriveva, strofa per strofa di anno in anno, sul quadernino di turno con la sua bella calligrafia tonda. Nonna era una rivoluzionaria fino al midollo, con la sua tesi di laurea anno 45/46 «Il pensiero e l’azione di Eleonora Pimentel De Fonseca nella Rivoluzione Napoletana del 1799», con i suoi allenamenti di basket e lancio del giavellotto. Ho ricordato anni dopo, come direbbe Marquez, di fronte al plotone di esecuzione del mio tema di maturità il senso di quel fiume, la forza della scelta giusta avanzata con onore e dignità, quel senso di Patria e di casa che avevo solo intuito.