Dai margini e sui margini di Israele Lo sguardo altro di Caridi e Thrall
Gli alberi del Medio Oriente visti dall’autrice, un incidente stradale narrato dal Pulitzer: l’incontro
MANTOVA Al Festivaletteratura l’attualità diventa sempre occasione di dibattito e di riflessione. Si parla molto in questa edizione di Intelligenza artificiale; ieri, per esempio, Marco Malvaldi e Chiara Valerio con Marco Filoni si sono esibiti in una trascinante discussione sul tema: quanto L’IA ha a che fare con la nostra scrittura? Le macchine scriveranno al posto nostro? (Forse — ha risposto Valerio —, ma la lettura resterà una pratica solamente umana).
Il programma del festival non guarda soltanto alle sfide culturali, ma ha ben presente quello che succede nel mondo, soprattutto nelle aree più calde, e ciò che lo contraddistingue è la capacità, negli incontri più riusciti, di offrire una prospettiva diversa. Come è successo ieri con Paola Caridi, giornalista, studiosa del Medio Oriente, che ha appena pubblicato per Feltrinelli Il gelso di Gerusalemme,e Nathan Thrall, ebreo statunitense con sede a Gerusalemme, per dieci anni direttore dell’arab-israeli Project dell’international Crisis Group, ong transnazionale che fornisce consulenza ai governi sulla prevenzione e dei conflitti; autore di un libro di non fiction, Un giorno nella vita di Abed Salama. Anatomia di una tragedia a Gerusalemme (Neri Pozza) che gli è valso il premio Pulitzer 2024. «Un incontro tra vecchi vicini di casa» lo ha definito Caridi che a Gerusalemme ha vissuto per oltre dieci anni nello stesso quartiere di Musrara, a ridosso della linea verde, una sorta di oasi in cui è possibile una interazione tra israeliani e palestinesi, abitato anche da Thrall.
In comune i due libri hanno lo sguardo, la scelta di affrontare la questione israelo-palestinese, con una prospettiva inattesa: «A me viene chiesto perché tra tutte le tragedie ho scelto un banale incidente stradale. Tu hai scelto gli alberi» dice Thrall a Caridi. «È uno sguardo dai margini e sui margini, un modo di parlare di quello che noi abbiamo provato nella nostra vita a Gerusalemme» dice la scrittrice. Nel suo libro racconta la lunga storia del conflitto attraverso storie di piante, come il gelso di Gerusalemme, il pino piegato del Monte Nebo, gli ulivi di Betlemme, i sicomori di Gaza. «Gli alberi sono quel non-umano che ci dice un’altra storia o ci dice la stessa storia ma con differenti paradigmi, una storia che non usa la nostra cronologia — spiega —. Noi parliamo della questione israeliano-palestinese dal ’48, oppure dal ’36 o dal ’67, ma il racconto di un albero è molto più lungo e dice che gli uomini hanno spesso usato l’architettura del paesaggio per definire una storia politica. Non solo, nel caso dei palestinesi, nel taglio degli ulivi che ho visto negli oltre vent’anni in cui ho frequentato questi luoghi, ma anche nel piantare nuove piante, come i 250 milioni di pini che Ben Gurion definiva l’esercito degli alberi» dice.
Il libro di Thrall, scritto prima dell’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre, si immerge nella giornata di un padre palestinese che viene a sapere dell’incidente dello scuolabus su cui viaggia il figlio di 5 anni, e cerca di raggiungere l’ospedale, attraversando un percorso fitto di ostacoli fisici, burocratici, checkpoint, blocchi dovuti alla sua condizione di palestinese. Un libro che ha segnato un cambio di passo rispetto a quello che faceva prima. «Mi sono reso conto che era un fallimento: i miei rapporti andavano a un’elite di giornalisti, esperti della questione israelo-palestinese, politici, diplomatici e non serviva a niente — racconta —. Loro li leggevano, in privato mi dicevano: quello che hai scritto mi ha fatto cambiare idea, mi rendo conto che questa situazione è immorale, che il mio governo non fa altro che perpetuarla, ma io non farò mai nulla di diverso, non prenderò mai nessuna iniziativa politica, mi sentirai dire un sacco di cose a cui non credo».
Così Thrall capisce che deve rivolgersi a un pubblico più vasto, raccontando una storia vera e personale. «Il libro tratta di un sistema di dominazione etnica e ho pensato che il miglior modo di spiegare questa complessità non fossero statistiche e cifre, ma aiutare chi legge a mettersi nei panni di chi questo sistema deve attraversarlo nel giorno peggiore della sua vita». Così il lettore si trova a guardare le cose con gli occhi oltre che del padre, «dei bambini, degli adulti, degli ebrei, anche ultra ortodossi, che sono stati i primi a prestare soccorso dopo l’incidente». Thrall lo dice apertamente: «Ho voluto scrivere una storia che facesse piangere. Solo così mi sembrava possibile lasciare un segno».
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Riflessioni anche sulla Intelligenza artificiale: quanto ha a che fare con la nostra scrittura?