UN EPILOGO CHE LASCIA QUALCHE DUBBIO SULL’ESECUTIVO
Le dimissioni del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano hanno tre motivazioni. La prima è che si interrompe uno stillicidio di notizie e indiscrezioni che ormai stavano investendo Palazzo Chigi: la trincea della difesa d’ufficio e le ipotesi di complotto non reggevano più. La seconda è che la sostituzione del ministro ha permesso a Giorgia Meloni un cambio rapido e almeno in parte indolore: nel senso di non rendere necessario un rimpasto di governo che avrebbe aperto un negoziato complicato con gli altri alleati; e da posizioni di debolezza. La terza è che ha tolto un’arma impropria alle opposizioni.
Anche quando tra qualche settimana un altro ministro, Raffaele Fitto, sarà nominato forse vicepresidente della Commissione Ue, la sostituzione avverrà senza un passaggio parlamentare. Ma ritenere che quanto è accaduto non sia destinato a lasciare lividi nella maggioranza sarebbe illusorio. Strumentalizzazioni inevitabili a parte, si è riproposto il tema di una classe dirigente di destra penalizzata dall’inesperienza. Il difetto riguarda anche altre forze politiche, ma stavolta è emerso in modo vistoso.
La sensazione che affiora è quella di un esecutivo blindato, almeno in apparenza;
Oltre confine
Il rischio di un logoramento anche internazionale dell’italia alla vigilia delle nomine alla Commissione europea
con poteri concentrati nelle mani della premier e di una cerchia ristretta di fedelissimi; stabile e puntellato dall’assenza di alternative. Eppure infiltrabile in modo sorprendente da personaggi improbabili. La domanda inevitabile, dunque, è se quanto è accaduto sia un caso isolato dovuto a errori e debolezze personali. Il dubbio è che ne possano esistere casi simili.
Casi sconosciuti che si potrebbero verificare in altri dicasteri con funzioni più delicate del ministero della Cultura, seppure meno intriganti per le cronache. Di certo, la vicenda contribuisce a un logoramento di immagine dell’italia a livello internazionale. I riconoscimenti al ministro dimissionario dagli ormai ex colleghi perché si è dimesso tradiscono un certo sollievo: si trattava di una situazione ormai insostenibile. E questo nonostante le opposizioni non riescano minimamente a trarne vantaggio.
I sondaggi certificano lo stallo nelle percentuali dei consensi, confermando l’ininfluenza degli avversari, sinistre e M5S. Ma il problema per Meloni è come costruire una seconda fase del suo governo a quasi metà legislatura. Il tema eluso finora è come riconoscere e rendersi conto che fare affidamento solo su un manipolo di fedelissimi, da vantaggio può rivelarsi anche un grave limite: tanto più con alleati come Lega e FI, non abbastanza forti da insidiarne la leadership, ma in grado di sfruttarne i passi falsi. Tra l’altro, un’europa indebolita non sarà per questo cedevole verso Meloni: tanto più con il filorusso ungherese Viktor Orbán che la definisce «la mia sorella cristiana».