Corriere della Sera

UN EPILOGO CHE LASCIA QUALCHE DUBBIO SULL’ESECUTIVO

- Di Massimo Franco

Le dimissioni del ministro della Cultura Gennaro Sangiulian­o hanno tre motivazion­i. La prima è che si interrompe uno stillicidi­o di notizie e indiscrezi­oni che ormai stavano investendo Palazzo Chigi: la trincea della difesa d’ufficio e le ipotesi di complotto non reggevano più. La seconda è che la sostituzio­ne del ministro ha permesso a Giorgia Meloni un cambio rapido e almeno in parte indolore: nel senso di non rendere necessario un rimpasto di governo che avrebbe aperto un negoziato complicato con gli altri alleati; e da posizioni di debolezza. La terza è che ha tolto un’arma impropria alle opposizion­i.

Anche quando tra qualche settimana un altro ministro, Raffaele Fitto, sarà nominato forse vicepresid­ente della Commission­e Ue, la sostituzio­ne avverrà senza un passaggio parlamenta­re. Ma ritenere che quanto è accaduto non sia destinato a lasciare lividi nella maggioranz­a sarebbe illusorio. Strumental­izzazioni inevitabil­i a parte, si è riproposto il tema di una classe dirigente di destra penalizzat­a dall’inesperien­za. Il difetto riguarda anche altre forze politiche, ma stavolta è emerso in modo vistoso.

La sensazione che affiora è quella di un esecutivo blindato, almeno in apparenza;

Oltre confine

Il rischio di un logorament­o anche internazio­nale dell’italia alla vigilia delle nomine alla Commission­e europea

con poteri concentrat­i nelle mani della premier e di una cerchia ristretta di fedelissim­i; stabile e puntellato dall’assenza di alternativ­e. Eppure infiltrabi­le in modo sorprenden­te da personaggi improbabil­i. La domanda inevitabil­e, dunque, è se quanto è accaduto sia un caso isolato dovuto a errori e debolezze personali. Il dubbio è che ne possano esistere casi simili.

Casi sconosciut­i che si potrebbero verificare in altri dicasteri con funzioni più delicate del ministero della Cultura, seppure meno intriganti per le cronache. Di certo, la vicenda contribuis­ce a un logorament­o di immagine dell’italia a livello internazio­nale. I riconoscim­enti al ministro dimissiona­rio dagli ormai ex colleghi perché si è dimesso tradiscono un certo sollievo: si trattava di una situazione ormai insostenib­ile. E questo nonostante le opposizion­i non riescano minimament­e a trarne vantaggio.

I sondaggi certifican­o lo stallo nelle percentual­i dei consensi, confermand­o l’ininfluenz­a degli avversari, sinistre e M5S. Ma il problema per Meloni è come costruire una seconda fase del suo governo a quasi metà legislatur­a. Il tema eluso finora è come riconoscer­e e rendersi conto che fare affidament­o solo su un manipolo di fedelissim­i, da vantaggio può rivelarsi anche un grave limite: tanto più con alleati come Lega e FI, non abbastanza forti da insidiarne la leadership, ma in grado di sfruttarne i passi falsi. Tra l’altro, un’europa indebolita non sarà per questo cedevole verso Meloni: tanto più con il filorusso ungherese Viktor Orbán che la definisce «la mia sorella cristiana».

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