La felicità di Ricomincia da una malga
Ex infermiera di Rsa, lascia tutto per trasferirsi a 1800 metri in Val di Rabbi (Trento)
Dalle corsie di una Rsa, dove durante i duri mesi del Covid non era stato facile mostrarsi impotenti e assistere alla scomparsa di alcuni ospiti della struttura, alla decisione di cambiare vita, mettendosi alle spalle divise e turni massacranti. Per scegliere di andare a vivere a 1.800 metri d’altitudine. In Trentino, nel cuore della Val di Rabbi, una valle chiusa che si estende per poco meno di venti chilometri. È lo sliding doors di Cristina De Stefani, 55 anni, ex infermiera di Conegliano, nel Trevigiano, mamma di due ragazzi, Filippo e Sara, e nonna di Loris e Diego, la quale un giorno di primavera del 2021 ha capito che quella professione portata avanti ininterrottamente per ben 26 anni non le apparteneva più: «Bisognava resistere, certo: ma probabilmente, se fossi rimasta ancora, mi sarei persa», ricorda. E così, quel 30 aprile di tre anni fa è stato il suo ultimo giorno da infermiera nella casa di riposo. Ventiquattr’ore dopo era già in Trentino, nella malga Polinar. «Per la verità, ci pensavo da tre, quattro mesi prima, da quando il mio amico Marco, di origini trentine, casaro e pastore per vocazione, mi aveva parlato della possibilità di gestire questa malga che era stata messa all’asta».
Il 33enne Marco Pangrazzi deve aver lavorato bene ai fianchi Cristina, fino a convincerla a far parte di questa avventura: «Ci scrivevamo via mail, gli dicevo di non aver nessuna esperienza su cosa si fa e come si gestisce una malche ga; ma lui, candidamente, mi rispondeva: dovrai semplicemente cucinare, mentre io mi occuperò degli animali e della preparazione del formaggio».
In questo continuo corteggiamento lavorativo, l’ex infermiera, già separata e abituata a dover badare a sé stessa, a un certo punto si è detta certi treni passano una sola volta nella vita: «Il primo maggio del 2021 eravamo su, ma c’era troppa neve e siamo risaliti il 5 giugno. Il primo impatto? Non c’era legna, indispensabile per far ripartire tutto: l’acqua calda per la cucina e il bagno. Ma dopo qualche giorno, per i primi ospiti ho preparato gnocchi, strozzapreti e altri tipi di pasta, ed era come prendere confidenza giorno per giorno con la mia nuova identità; mentre Marco si preoccupava di coltivare la verdura nell’orto, a due passi dalla struttura, e di mungere le capre per il latte».
In questa economia circolare del vivere a chilometro zero («La pasta, i crauti, la ricotta, le confetture li prepariamo noi, con tutto ciò che coltiviamo qui intorno»), Cristina ritrovava sempre più sé stessa, preparando pranzi e cene per i suoi ospiti, pronti a chiederle, ancora oggi, cosa l’abbia spinta, a più di 50 anni d’età, a cambiare vita.
«Per la verità, non è stato facile far capire il motivo di questa scelta neppure ai miei due figli: è vero, non sono stata una mamma molto presente, ma ho provato a far comprendere loro quanto sia importante non smettere mai di rincorrere i propri sogni». Un paio di giorni fa, Filippo, oggi iscritto al Conservatorio di Trento, di passaggio dalla malga, ha detto a sua mamma: «Penso che tu abbia fatto la scelta giusta: avverto una grande ricchezza in questa diversità di vita».