«Serve un po’ di pietas per quei due genitori»
«Partirei dalla pietas, la prima parola che ritengo si debba pronunciare nei confronti di chi si trova nella difficile condizione di questi genitori. Quelle parole del padre al figlio si possono anche comprendere nell’immediatezza dell’arresto, dettate dalla paura del gesto autolesionista. Tuttavia ci sono dei punti su cui bisogna ragionare...».
La riflessione di Paolo Crepet riguarda una certa cultura, una certa mentalità giustificazionista. «Diffusissima fra i genitori di quest’epoca nei confronti dei figli. Non illudiamoci che l’atteggiamento del padre di Turetta sia un caso isolato. I genitori tendono ad annacquare qualsiasi errore dei loro ragazzi, lo sfumano, lo triturano, fino a trasformarlo in una poltiglia digeribile. In questo caso, viste le precisazioni e la supplica del padre che ora chiede comprensione, immagino che oggi non parlerebbe più così a Filippo».
Per lo psichiatra l’approccio giusto dovrebbe tendere a una responsabilità condivisa. «Non sono dell’idea che il padre debba dirgli “stai lì, ti meriti questo e tanti saluti”. Ma nemmeno dev’essere un prete che dà speranza attraverso la lettura delle sacre pagine. Lui è un padre e deve innanzitutto domandarsi come sia potuto crescere un assassino nella sua casa. Dovrebbe dirgli “se tu sei qui è anche colpa mia”, questa sarebbe una frase di enorme dignità e civiltà. “Abbiamo sbagliato qualcosa anche noi, non solo tu”. “Che cos’è che non mi hai detto in questi anni?”. E invece gli ha detto “hai avuto un momento di debolezza”. Due anni di martellanti messaggini e il martirio della povera Giulia possono forse essere un momento di debolezza?».
Detto che Crepet considera ogni femminicidio è premeditato per definizione, è l’idea del raptus che a suo parere danneggia. «Perché è giustificazionista e non aiuta il figlio: hai avuto un momento di follia e le hai dato 70 coltellate. No, non è così. L’hai pensato, l’hai ragionato, c’era un tarlo nella tua testa e nessuno l’ha visto. E nessuno ha intercettato la sua solitudine e pure quella di Giulia. É mancata l’empatia. Non minimizziamo, non riduciamo questa tragedia circoscrivendola ai due ragazzi. Sbagliato, è accaduta in una comunità».
Sull’opportunità di pubblicare l’intercettazione ambientale, scelta giudicata grave dal segretario delle Camere penali «perché non aggiunge nulla alle indagini né alla cronaca, si tratta solo di voyeurismo fuori luogo», Crepet è perplesso: «Premesso che non ho alcuna competenza sulla questione giurisprudenziale, se non si potevano pubblicare quelle frasi chiudiamo qui l’intervista e mi taccio. Però non svegliamoci oggi con il voyeurismo, che abbiamo tenuto tutti, me compreso, per sei mesi. Ma poi cosa vuol dire voyeurismo? Questi elementi fanno parte dell’analisi familiare, emotiva e relazionale da cui nasce il delitto, come nacquero vent’anni fa Cogne e Novi Ligure e prima ancora Pietro Maso. Questi aspetti vengono a galla dai dettagli, dai colloqui, dalle reazioni. Servono a capire, a contestualizzare».
Un plauso finale lo tributa all’avvocato di Turetta, Giovanni Caruso: «Ho trovato saggia la scelta di non chiedere alcuna perizia psichiatrica, di andare dritti a processo e alla pena. Lo trovo coerente, giusto, raro».
La decisione «Trovo giusta la scelta della difesa di non chiedere la perizia psichiatrica