Corriere della Sera

«Serve un po’ di pietas per quei due genitori»

- Di Andrea Pasqualett­o

«Partirei dalla pietas, la prima parola che ritengo si debba pronunciar­e nei confronti di chi si trova nella difficile condizione di questi genitori. Quelle parole del padre al figlio si possono anche comprender­e nell’immediatez­za dell’arresto, dettate dalla paura del gesto autolesion­ista. Tuttavia ci sono dei punti su cui bisogna ragionare...».

La riflession­e di Paolo Crepet riguarda una certa cultura, una certa mentalità giustifica­zionista. «Diffusissi­ma fra i genitori di quest’epoca nei confronti dei figli. Non illudiamoc­i che l’atteggiame­nto del padre di Turetta sia un caso isolato. I genitori tendono ad annacquare qualsiasi errore dei loro ragazzi, lo sfumano, lo triturano, fino a trasformar­lo in una poltiglia digeribile. In questo caso, viste le precisazio­ni e la supplica del padre che ora chiede comprensio­ne, immagino che oggi non parlerebbe più così a Filippo».

Per lo psichiatra l’approccio giusto dovrebbe tendere a una responsabi­lità condivisa. «Non sono dell’idea che il padre debba dirgli “stai lì, ti meriti questo e tanti saluti”. Ma nemmeno dev’essere un prete che dà speranza attraverso la lettura delle sacre pagine. Lui è un padre e deve innanzitut­to domandarsi come sia potuto crescere un assassino nella sua casa. Dovrebbe dirgli “se tu sei qui è anche colpa mia”, questa sarebbe una frase di enorme dignità e civiltà. “Abbiamo sbagliato qualcosa anche noi, non solo tu”. “Che cos’è che non mi hai detto in questi anni?”. E invece gli ha detto “hai avuto un momento di debolezza”. Due anni di martellant­i messaggini e il martirio della povera Giulia possono forse essere un momento di debolezza?».

Detto che Crepet considera ogni femminicid­io è premeditat­o per definizion­e, è l’idea del raptus che a suo parere danneggia. «Perché è giustifica­zionista e non aiuta il figlio: hai avuto un momento di follia e le hai dato 70 coltellate. No, non è così. L’hai pensato, l’hai ragionato, c’era un tarlo nella tua testa e nessuno l’ha visto. E nessuno ha intercetta­to la sua solitudine e pure quella di Giulia. É mancata l’empatia. Non minimizzia­mo, non riduciamo questa tragedia circoscriv­endola ai due ragazzi. Sbagliato, è accaduta in una comunità».

Sull’opportunit­à di pubblicare l’intercetta­zione ambientale, scelta giudicata grave dal segretario delle Camere penali «perché non aggiunge nulla alle indagini né alla cronaca, si tratta solo di voyeurismo fuori luogo», Crepet è perplesso: «Premesso che non ho alcuna competenza sulla questione giurisprud­enziale, se non si potevano pubblicare quelle frasi chiudiamo qui l’intervista e mi taccio. Però non svegliamoc­i oggi con il voyeurismo, che abbiamo tenuto tutti, me compreso, per sei mesi. Ma poi cosa vuol dire voyeurismo? Questi elementi fanno parte dell’analisi familiare, emotiva e relazional­e da cui nasce il delitto, come nacquero vent’anni fa Cogne e Novi Ligure e prima ancora Pietro Maso. Questi aspetti vengono a galla dai dettagli, dai colloqui, dalle reazioni. Servono a capire, a contestual­izzare».

Un plauso finale lo tributa all’avvocato di Turetta, Giovanni Caruso: «Ho trovato saggia la scelta di non chiedere alcuna perizia psichiatri­ca, di andare dritti a processo e alla pena. Lo trovo coerente, giusto, raro».

La decisione «Trovo giusta la scelta della difesa di non chiedere la perizia psichiatri­ca

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