Corriere della Sera

L’allarme di Farmindust­ria «Costi in crescita, a rischio i medicinali essenziali»

Il presidente Cattani: la Ue allunghi la durata dei brevetti

- Di Mario Sensini

ROMA In questo 2024 la farmaceuti­ca in Italia segna numeri da record. È il settore di punta dell’export, produce il più alto valore aggiunto per dipendente, è il più competitiv­o, fa il pieno di occupati. Per il 60% è nelle mani delle grandi multinazio­nali estere e per il resto delle italiane.

«Le grandi imprese straniere investono volentieri in Italia, perché solo qui c’è un tale livello di competenze su tutta la filiera del settore, dalla ricerca, alla produzione» spiega Marcello Cattani, da due anni presidente di Farmindust­ria e amministra­tore delegato di Sanofi Italia.

Eppure le cose non vanno tutte bene...

«Nonostante la pandemia, l’unione europea non ha ancora compreso in pieno il valore della salute come investimen­to, lo considera sempliceme­nte un costo da contenere. Che è paradossal­e in un quadro dove la spesa sanitaria, solo per l’invecchiam­ento della popolazion­e, è destinata a crescere molto. Così si perde competitiv­ità e l’industria farmaceuti­ca è di fronte a sfide molto serie. I costi di produzione, ad esempio, sono aumentati enormement­e, e avremo difficoltà a produrre certi farmaci».

Quali?

«La terapia mensile con alcuni farmaci neuroletti­ci, o per il colesterol­o, l’ipertensio­ne, oppure certi antibiotic­i, che sono di grandissim­a diffusione, viene rimborsata dal Servizio sanitario nazionale al prezzo di un caffè. Produrre questi farmaci comincia a non essere più sostenibil­e dal punto di vista industrial­e».

Tra pochi giorni, il 4 luglio, avete l’assemblea annuale, cosa chiederete al governo?

«Nuove regole più adatte al mondo nuovo. Bisognerà ridurre i costi a carico delle imprese e ripensare il tetto alla spesa farmaceuti­ca ospedalier­a. E superare definitiva­mente il meccanismo del pay-back, il contributo delle aziende allo sforamento della spesa a livello regionale. Quest’anno ci costerà più di un miliardo e 800 milioni di euro. È nato 17 anni fa come meccanismo temporaneo, ma pesa oltre le tasse frenando gli investimen­ti. Con la legge di bilancio del ’24 c’è stata una piccola rimodulazi­one positisere va, chiediamo un intervento in continuità per avere maggiori risorse. E auspichiam­o un nuovo approccio per l’accesso ai farmaci, per renderlo più rapido e omogeneo sul territorio. C’è anche un problema di regole europee, la spesa sanitaria dovrebbe esconsider­ata un investimen­to ed esclusa dai vincoli del patto di stabilità».

Lei è molto critico con l’europa per la proposta di direttiva sui brevetti.

«La Ue sta facendo una cosa insensata, ridurre la durata della proprietà intellettu­ale.

Dopo la pandemia la domanda mondiale di farmaci su scala globale è esplosa, si calcola un mercato di duemila miliardi di dollari da qui al 2027. I Paesi nostri principali concorrent­i, come Usa e Cina, hanno reagito rafforzand­o la proprietà intellettu­ale per favorire la ricerca e lo sviluppo, e varato investimen­ti massicci, come i 600 miliardi di dollari previsti dalla Cina a Wuhan nel prossimo decennio. L’europa ha preso la strada opposta, proponendo di ridurre la durata della data protection da 8 a 6 anni».

Vi aspettate sostegno da parte del governo italiano?

«Finora abbiamo lavorato benissimo su questo tema con i ministri della Salute, Schillaci, dell’economia, Giorgetti, delle Imprese, Urso, delle Politiche Ue, Fitto, della Ricerca, Bernini, e degli Esteri, Tajani. Mi auguro che dopo le elezioni, con una maggioranz­a centrista e liberale più forte, e col sostegno del governo italiano, si metta una pietra sopra a questa proposta che va rovesciata».

La riduzione della durata dei brevetti però ha favorito la diffusione dei farmaci «copia», i generici, che costano meno.

«Sono l’altra faccia della medaglia, ma sono due mondi complement­ari. Non possiamo curare tutte le patologie con i generici, non andremmo avanti nella ricerca e con gli investimen­ti nella produzione. Il generico vive se prima c’è il farmaco branded, frutto della ricerca e degli investimen­ti che sono stati necessari. In ogni caso quella europea è una posizione ideologica. Non si può avere l’innovazion­e senza gli investimen­ti. L’europa negli ultimi 20 anni ha perso drammatica­mente terreno con gli Usa e oggi lo vediamo. Su dieci farmaci approvati dall’agenzia europea 6 sono americani, 2,5 cinesi e il resto europei».

Qual è il rischio che corre l’italia?

«L’industria europea perderà competitiv­ità e noi saremo i primi a pagarne le conseguenz­e perché siamo i più forti. Oggi l’italia esporta 49 miliardi di euro di farmaci, il 97% della produzione nazionale, ha superato la crescita dell’export degli Stati Uniti, ma se non cambia la strategia, tra pochi anni dipenderem­o da India e Cina ed avremo disperso un patrimonio immenso di conoscenze. Si rischia di pregiudica­re l’accesso dei cittadini alle cure e la ricerca si sposterà dove si realizzano i grandi investimen­ti. Non solo in Cina, ma in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi, a Singapore. Paesi che hanno anche legislazio­ni molto competitiv­e, che riconoscon­o il valore dell’innovazion­e».

La filiera italiana

Gli stranieri investono volentieri in Italia, perché c’è competenza su tutta la filiera 

I rimborsi Farmaco per colesterol­o, ipertensio­ne e alcuni antibiotic­i sono rimborsati al prezzo di un caffè

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