«L’obiettivo di Kiev è fallito» Putin resta fermo sull’offerta «che non si può rifiutare»
L’ultimatum: «Il nemico riconosca la situazione sul campo»
Per i consiglieri dello zar, la cosiddetta «offerta di pace» formulata nei giorni scorsi da Vladimir Putin è come quelle rese celebri da Michael Corleone: «Non si può rifiutare». Per chi non ricordasse il film di Coppola, i destinatari delle proposte del Padrino si vedevano puntata una pistola alla testa. Non c’è molta differenza con la richiesta a Kiev di ritirare preventivamente le sue truppe da Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, le quattro regioni annesse, ma ancora non del tutto controllate dalla Russia.
Ieri, il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha invitato Kiev a prendere seriamente in considerazione l’invito di Putin, visto che «l’attuale dinamica al fronte continua a peggiorare per gli ucraini». E con una frecciata diretta a Zelensky, ha aggiunto che «probabilmente un politico che metta gli interessi del suo Paese al di sopra di quelli suoi e dei suoi padroni, deve riflettere su una proposta simile». Che secondo Peskov «non è un ultimatum, ma un’iniziativa di pace che tiene conto delle realtà sul campo». In ogni caso, così il portavoce russo, «il presidente Putin accetta il principio dei negoziati, a condizione che il loro esito sia approvato dal legittimo governo ucraino, ma Volodymyr Zelensly non appartiene a questa categoria».
Anche se subito smascherata nella sua vera sostanza, quella di una richiesta di capitolazione incondizionata, l’offerta di Putin ha avuto però l’effetto di sparigliare la conferenza di pace, voluta da Zelensky sul Bürgenstock. A Mosca, infatti, gli aedi putiniani cantano vittoria. Secondo Vladimir Kornilov, analista di Ria Novosti onnipresente nei talk show di regime, «la montagna delle Alpi svizzere non ha partorito neppure un topolino, solo tre dei dieci punti previsti inizialmente da Zelensky sono stati approvati e neppure da tutti i partecipanti». Kornilov conclude che il principale obiettivo di Zelensky «è fallito», poiché nei due giorni elvetici «si è più discusso delle proposte di Vladimir Putin, sia pure per criticarle, che di quelle del presidente ucraino».
Non è esattamente così. La foto di gruppo del vertice svizzero certifica infatti un fronte di quasi cento Paesi che, in modi e gradazioni diverse, approposta poggia l’ucraina nella sua battaglia esistenziale. Il vero problema è che non è affatto chiaro quale possa essere il prossimo passo: «Sebbene la Russia non sia in grado di raggiungere i suoi obiettivi massimi con mezzi militari — dice Alexander Gabuev, direttore del Carnegie Russia Eurasia Center —, è chiaro che in questa fase sta guadagnando terreno. Ed è la ragione per cui diversi Paesi si chiedono se la di Zelensky abbia gambe solide». Lo stesso International Advisory Group, società di consulenza specializzata nella risoluzione dei conflitti, definisce «improbabile» l’ipotesi che la conferenza possa produrre effetti significativi.
Detto altrimenti, Vladimir Putin ostenta soddisfazione. La situazione militare favorevole gli consente di non avere fretta. Il fronte si allunga, le linee difensive ucraine si assottigliano, le armi occidentali a Kiev arrivano col contagocce e in ritardo. Soprattutto, novembre si avvicina e le elezioni americane potrebbero cambiare radicalmente tutti gli scenari. Ha già detto che le sue proposte, se venissero rigettate, lascerebbero il posto a condizioni molto più dure. «Se un giorno dovessero esserci trattative dirette — spiega Kornilov — l’ucraina ricorderà con nostalgia questa offerta». Quella «che non si può rifiutare». Alla Michael Corleone.
E a proposito di pistole puntate alla testa, il New York Times ha rivelato che nella primavera 2022, Russia e Ucraina furono molto vicine a un accordo, poi saltato all’ultimo momento. Ma i tanti che hanno usato la notizia per accusare l’occidente di aver fatto pressione su Zelensky perché non firmasse, sorvolano sul fatto, nero su bianco nell’articolo del Times, che l’intesa fallì per il rifiuto della Russia di inserirvi le garanzie di sicurezza, richieste da Kiev, in base a cui in caso di nuova invasione, un gruppo di Paesi garanti (fra cui Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Cina) si impegnava a intervenire in sua difesa.
La pace saltata
Il «New York Times» ha rivelato che nel 2022 Mosca e Kiev furono molto vicine all’accordo