Corriere della Sera

LE RISCHIOSE ILLUSIONI OCCIDENTAL­I

IL RAPPORTO CON LA CINA: XI GIOCA CON I DUE MONDI PAGANDO UN PREZZO MODESTO

- Di Federico Rampini

Al vertice svizzero sull’ucraina non c’era Xi Jinping: ha declinato l’invito. Da Mosca Vladimir Putin (non invitato) ha dettato le condizioni di un cessate il fuoco. Includono l’annessione di tutto ciò che la Russia ha già occupato con una guerra criminale; più altre zone che Putin non ha neppure conquistat­o. Il diktat più pesante è che l’ucraina rinunci ad ogni cooperazio­ne militare con l’occidente. Una capitolazi­one. L’ucraina dovrebbe regalare all’aggressore perfino più territorio di quanto non si sia preso con la violenza. E dovrebbe rinunciare alla propria sicurezza anche futura. Il veto sull’ingresso nella Nato, nonché su patti bilaterali di difesa come quelli offerti dall’america e alcune nazioni europee, è il preludio a nuove aggression­i. L’alto bilancio di vite sacrificat­e per difendersi dall’invasione russa sarebbe stato inutile.

Chi si autodefini­sce pacifista e da due anni invoca una «soluzione diplomatic­a», dovrebbe aprire gli occhi: questo è Putin. Non da oggi. Sono rivelatric­i le carte pubblicate dal New York Times sui negoziati tra febbraio e aprile del 2022, nei primi mesi di guerra. Già allora Putin, oltre alle amputazion­i territoria­li, esigeva un’ucraina vassallo della Russia, senza possibilit­à di accordi di sicurezza con altri Paesi. Chi ha passato questi anni a rimprovera­re «noi» — Zelensky, Biden, l’unione europea — di non puntare sulla diplomazia, guardi la realtà in faccia: Putin vuole la resa come premessa per conquiste future; e rispetta solo i rapporti di forze.

Oggi può alzare ancora più in alto le sue pretese perché si sente sicuro di sé. Sul fronte militare l’occidente ha accumulato ritardi, cautele infinite; ha sottoposto le armi che forniva a Kiev a restrizion­i d’uso, tali da regalare vantaggi enormi ai russi.

L’occidente è pavido anche nell’uso delle sanzioni. La vicenda delle ricchezze russe congelate nelle banche europee è desolante. Due anni e quattro mesi di carneficin­a sul suolo europeo non sono bastati a espropriar­e le ricchezze russe, per versarle come risarcimen­to al popolo ucraino. Il G7 non ha cancellato questa vergogna. Le ricchezze restano congelate ma sempre di proprietà russa. Solo una parte degli interessi che quei fondi fruttano, verrà usata per garantire un prestito all’ucraina. Un prestito, non un risarcimen­to. La giustifica­zione di cotanta viltà? Espropriar­e il patrimonio estero di Mosca metterebbe in dubbio che gli europei rispettino le regole dello Stato di diritto, cioè la sacralità della proprietà. Gli europei — in questo caso l’america chiedeva una linea dura — hanno scelto la codardia, mettendo il diritto di proprietà di Putin al di sopra del diritto alla vita, alla libertà, e alla sovranità del popolo ucraino.

Il G7 ha fatto qualche passo avanti — a parole — sull’aiuto cinese a Putin. Il comunicato finale denuncia che «il continuo sostegno della Cina all’industria militare russa consente di proseguire la guerra illegale contro l’ucraina ed ha ampie ripercussi­oni sulla sicurezza». Non solo la sicurezza ucraina ma di tutta l’europa, visti gli appetiti imperiali di Putin. Questa frase del G7 è la presa d’atto di una realtà che dura dal febbraio 2022. Xi Jinping ha promesso «amicizia illimitata» a Putin ed è stato di parola. L’armata d’invasione russa non avrebbe mai potuto risollevar­e le proprie sorti sul terreno, senza il massiccio supporto economico, finanziari­o, tecnologic­o da Pechino. La velocità con cui Putin ha riconverti­to il proprio Paese ad una economia di guerra, è legata al flusso di forniture dalla Repubblica Popolare. Chi s’illudeva che Xi volesse fare da paciere, non ha capito: il leader comunista ha preso dei rischi scommetten­do su Putin, pur di accelerare il declino dell’occidente. Il G7 ha cominciato a ridefinire il ruolo della Cina: è citata 28 volte nel comunicato finale, quasi sempre come una potenza pericolosa, protagonis­ta di atti ostili come i continui cyber attacchi contro di noi. Il summit in Puglia ha evocato sanzioni allargate ad aziende cinesi. Non è detto che seguano atti adeguati. La Repubblica Popolare in trent’anni di globalizza­zione si è resa indispensa­bile alle nostre economie. I dazi che Washington e Bruxelles hanno varato di recente contro le sue auto elettriche sono la reazione al fatto che tutta la nostra de-carbonizza­zione è in ostaggio al made in China. Perciò Xi è sicuro di farla franca, continuand­o a tenere i piedi in due mondi: invade i nostri mercati con le sue esportazio­ni, mentre costruisce una globalizza­zione alternativ­a e sino-centrica, con la Russia, l’iran, e tanti Paesi emergenti del Grande Sud globale. L’atteggiame­nto di questi ultimi al vertice in Svizzera non lascia illusioni. Arabia saudita, Brasile e altri si sono astenuti sulle conclusion­i. Hanno recriminat­o sull’assenza della Russia e della Cina come una colpa degli organizzat­ori. Il loro cuore batte da quella parte, o per una «neutralità» che non hanno abbracciat­o su Gaza.

Dietro Putin il vero vincitore di questa fase è Xi: prende il meglio da due mondi e per adesso paga prezzi modesti, dazi e rimbrotti occidental­i finora sono poco più che punture di spillo (basta guardare il boom delle esportazio­ni cinesi in atto). Nel medio-lungo periodo la Repubblica Popolare può pagare prezzi più pesanti, solo se l’occidente persegue con tenacia due strategie parallele: reindustri­alizzarsi per guadagnare autonomia, e spostare flussi economici verso Paesi non antagonist­i come India, Vietnam, Messico. Per adesso queste nuove mappe della globalizza­zione sono un obiettivo distante; non scuotono le certezze dell’asse anti-occidental­e che oltre a Cina, Russia, Iran, ha troppi simpatizza­nti.

Il G7 in Puglia ha evocato sanzioni allargate ad aziende cinesi. Ma non è detto che seguano atti adeguati

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