Chi vuole parlare alla pancia e non alla testa
Quasi duole dover ritornare per l’ennesima volta sul tema della disinformazione sui vaccini. Ma dal momento che c’è chi si ostina a usarla a scopo di lucro, elettorale o meno, appare opportuno farlo. Lo spunto lo fornisce stavolta uno studio (Quantifying the impact of misinformation and vaccine-skeptical content on Facebook) pubblicato di recente sulla rivista Science. In esso gli autori esaminano l’effetto di messaggi sui vaccini contro il Covid su Facebook palesemente disinformativi e segnalati come falsi, e di altri che si collocavano invece in un’area «grigia», ben confezionati, in grado di sfuggire ai «revisori» oppure che, pur non sfuggendo, non venivano segnalati come falsi dalla piattaforma per proteggere la libertà di parola. Fin qui non proprio una novità. Ciò che colpisce però è che l’impatto sull’esitazione vaccinale dei secondi sarebbe stato di ben 46 volte maggiore rispetto ai primi. Qui si entra in un territorio, quello della libertà di espressione, delicato ma essenziale, perché la diffusione di un post falso, ben concepito da un «professionista» della disinformazione, può essere molto amplificata anche da chi non lo è affatto e agisce magari in buona fede, sentendosi investito di «una missione». A dare una misura delle dimensioni di questo fenomeno è un secondo studio, sullo stesso numero di Science, nel quale sono state studiate le caratteristiche dei superspreader, cioè dei «grandi condivisori» su X (ex Twitter). In questo caso il tema non era la salute, ma colpisce che solo poco più di 2 mila di essi siano stati in grado di diffondere l’80% delle notizie false su un dato tema. I supercondivisori chi erano? In prevalenza donne di mezza età di alcuni Stati americani. Quindi pochi (poche), ma in grado di influenzare moltissimi.
È quindi sempre il caso di cercare di capire se stiamo dando credito a qualcuno che vuole parlare alla nostra «pancia» (con la sua), oppure alla nostra testa. Specie se parla di qualcosa le cui conseguenze possiamo pagare sulla nostra «pelle» (e pure farle pagare su quella degli altri nel caso dei vaccini).