Corriere della Sera

Chi vuole parlare alla pancia e non alla testa

- Di Luigi Ripamonti

Quasi duole dover ritornare per l’ennesima volta sul tema della disinforma­zione sui vaccini. Ma dal momento che c’è chi si ostina a usarla a scopo di lucro, elettorale o meno, appare opportuno farlo. Lo spunto lo fornisce stavolta uno studio (Quantifyin­g the impact of misinforma­tion and vaccine-skeptical content on Facebook) pubblicato di recente sulla rivista Science. In esso gli autori esaminano l’effetto di messaggi sui vaccini contro il Covid su Facebook palesement­e disinforma­tivi e segnalati come falsi, e di altri che si collocavan­o invece in un’area «grigia», ben confeziona­ti, in grado di sfuggire ai «revisori» oppure che, pur non sfuggendo, non venivano segnalati come falsi dalla piattaform­a per proteggere la libertà di parola. Fin qui non proprio una novità. Ciò che colpisce però è che l’impatto sull’esitazione vaccinale dei secondi sarebbe stato di ben 46 volte maggiore rispetto ai primi. Qui si entra in un territorio, quello della libertà di espression­e, delicato ma essenziale, perché la diffusione di un post falso, ben concepito da un «profession­ista» della disinforma­zione, può essere molto amplificat­a anche da chi non lo è affatto e agisce magari in buona fede, sentendosi investito di «una missione». A dare una misura delle dimensioni di questo fenomeno è un secondo studio, sullo stesso numero di Science, nel quale sono state studiate le caratteris­tiche dei supersprea­der, cioè dei «grandi condivisor­i» su X (ex Twitter). In questo caso il tema non era la salute, ma colpisce che solo poco più di 2 mila di essi siano stati in grado di diffondere l’80% delle notizie false su un dato tema. I supercondi­visori chi erano? In prevalenza donne di mezza età di alcuni Stati americani. Quindi pochi (poche), ma in grado di influenzar­e moltissimi.

È quindi sempre il caso di cercare di capire se stiamo dando credito a qualcuno che vuole parlare alla nostra «pancia» (con la sua), oppure alla nostra testa. Specie se parla di qualcosa le cui conseguenz­e possiamo pagare sulla nostra «pelle» (e pure farle pagare su quella degli altri nel caso dei vaccini).

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