Corriere della Sera

Spinta Usa contro Pechino ma l’europa è tra due fuochi

La missione di Urso e Meloni per l’auto cinese e l’impatto del G7

- Dal nostro inviato Federico Fubini

(BRINDISI) Ventiquatt­r’ore prima dell’inizio del G7, l’office of Foreign Assets Control (Ofac) ha pubblicato nuove «istruzioni» che gettano una luce diversa sui risultati del vertice pugliese. Quell’ufficio è l’area del Tesoro americano che si occupa di sanzioni. E proprio alla vigilia dell’incontro dei leader ha dato una «definizion­e aggiornata» di ciò che considera la «base militare-industrial­e della Russia», con cui è proibita qualunque forma di cooperazio­ne. La revisione — nota l’ofac — riflette «l’uso crescente da parte del Cremlino di tutta l’economia russa per sostenere la guerra». Da ora quasi qualunque forma di commercio con il Paese di Vladimir Putin e quasi qualunque attività al suo interno — anche nell’industria pesante — espongono a sanzioni americane.

Così la Casa Bianca ha gettato le basi per una svolta del G7 sulla Cina. Solo nel primo anno di guerra l’export di quest’ultima verso la Russia era salito del 46,9%, anche nei prodotti a doppio uso civile e militare. Ora il vertice di Fasano riprende la linea che Anthony Blinken, segretario di Stato americano, aveva già spiegato a Pechino a fine aprile: saranno colpite le banche cinesi (e di altri Paesi) che facilitano gli scambi con la Russia sui beni proibiti; in sostanza, rischiano tutte di essere tagliate fuori dal sistema internazio­nale di pagamenti Swift e non potrebbero più toccare un solo dollaro. È probabilme­nte la misura più efficace presa contro l’economia russa in questi due anni. Il timore delle ritorsioni sta già tenendo lontani dalla Russia i grandi istituti come Industrial and Commercial Bank of China o Bank of China, ma soprattutt­o frena i più piccoli che finanziava­no gran parte degli scambi. Così nei primi quattro mesi del 2024 — stando agli ultimi dati del Servizio delle dogane russo — l’import di Mosca è in calo annuale del 4,2% sull’ingegneria meccanica, del 19,8% nei prodotti chimici, dell’11,6% in quelli metallici.

Visto dagli sherpa di Washington, funziona. Per questo hanno voluto inserire la minaccia nel comunicato dei Sette a Fasano: «Imporremo misure restrittiv­e per impedire l’accesso ai nostri sistemi finanziari per persone ed entità di Paesi terzi, incluse le entità cinesi, che si impegnano in attività» a danno dell’ucraina. Mai prima i Paesi europei, Italia inclusa, avevano preso una posizione così netta verso la Repubblica popolare (dove l’unione europea fattura oltre 230 miliardi di dollari di export all’anno).

Restano giusto due problemi. Il primo è che le misure di Bruxelles contro le triangolaz­ioni commercial­i cinesi con la Russia restano molto più deboli di quelle americane. Il quattordic­esimo pacchetto europeo di sanzioni, in fase di negoziato, si limita a indicare una lista di aziende cinesi a cui gli europei non possono vendere certi prodotti, perché questi non finiscano in Russia. Niente di più. Certo meno di quanto vorrebbe Washington, ma l’europa teme ritorsioni da parte di Pechino e si conferma così il vaso di coccio nelle tensioni tra superpoten­ze.

C’è poi una questione puramente nazionale e riguarda l’offensiva diplomatic­a che l’italia sta per lanciare proprio verso la Cina. Il 4-5 luglio sarà a Pechino il ministro delle Imprese Adolfo Urso, il quale sottolinea al Corriere come l’attuale governo non abbia mai usato il «golden power» per bloccare acquisizio­ni cinesi. Quindi il 29-30 luglio è prevista la visita dal presidente Xi Jinping della premier Giorgia Meloni. In discussion­e c’è anche l’investimen­to di Dongfeng, una casa automobili­stica

Attività e sanzioni

Il nuovo testo espone a sanzioni Usa qualsiasi forma di commercio con Mosca

cinese a totale controllo pubblico, per compensare la capacità industrial­e che Stellantis lascia ferma in Italia: secondo Urso, per una produzione annua di almeno 400-500 mila auto elettriche cinesi (ma rievocando, sembra, antichi marchi italiani in disuso e oggi di proprietà del ministero). Resta ora da capire se la durezza verso Pechino, proprio nel G7 italiano, produrrà la reazione avversa di Xi.

Del resto la dichiarazi­one di Fasano non è severa solo verso la Cina. C’è anche quel che sembra essere un avvertimen­to del G7 all’americana Citigroup e alle banche europee, Intesa Sanpaolo e Unicredit incluse, che restano attive con filiali a Mosca: «Ci appelliamo alle istituzion­i finanziari­e perché si astengano dal sostenere e dal fare profitti grazie alla macchina di guerra della Russia — si legge —. Prenderemo ulteriori misure per scoraggiar­e e impedire questi comportame­nti». Intesa e Unicredit sottolinea­no di aver molto ridotto le operazioni in Russia e comunque lavorano solo in settori estranei alle sanzioni. Ma la partita resta più che mai aperta. Un punto per l’eni il governo lo segna invece al G7, perché si è deciso proprio l’italia ospiterà il primo vertice ministeria­le sulla fusione nucleare: un’area su cui il gruppo dell’energia è molto impegnato.

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Un operaio nella catena di montaggio di un veicolo cinese di Li Auto a Changzhou
(foto Afp) In fabbrica Un operaio nella catena di montaggio di un veicolo cinese di Li Auto a Changzhou

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