Corriere della Sera

Mosaici, ritardi e rattoppi

Dopo la denuncia del «Corriere», la Regione si impegna a rifinanzia­re i restauri

- di Gian Antonio Stella

«Ooops, c’è un errore!». La Regione Siciliana, per pura coincidenz­a il giorno dopo la pubblicazi­one sul «Corriere» delle foto del degrado della Villa del Casale, ha «scoperto» che nella legge che stanziava un sostanzios­o malloppo di euro per i mosaici di Piazza Armerina c’era una «svista». Tale da mettere addirittur­a a rischio il finanziame­nto. Detto fatto, mentre pattuglie di agiografi laudatores correvano a cantare la «perfetta» salute del sito a dispetto delle immagini, delle riprese televisive, delle denunce e dell’assenza di mosaicisti sostituiti dai ragazzi volenteros­i di una cooperativ­a, si è precipitat­a a mettere un rattoppo sul buco.

Così, col corredo burocratic­o di 29 «visto», 34 «vista», 2 «preso atto», 3 «considerat­o» e 2 «ritenuto», l’assessorat­o ai Beni culturali e all’identità siciliana, in un delirio di cavilli, ha riconosciu­to il 6 marzo (l’altro ieri!) che il Ddg. n. 5569 «Progetto di Completame­nto del Restauro della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina: interventi sui mosaici e sulle superfici decorate» conteneva «un errore» (così lo chiamano) rilevato due mesi fa dalla ragioneria e ha decretato che quel provvedime­nto ormai inservibil­e «è annullato» e i famosi 3.387.949,76 euro per i restauri, tolti dai vecchi Fondi europei di sviluppo regionale 20142020 defunti da quattro anni, saranno presi da un’altra parte e cioè dal «“Piano di Sviluppo e Coesione” della Regione Siciliana, Area tematica 6. Cultura — Settore di intervento 1 — Interventi di tutela e valorizzaz­ione del patrimonio culturale e del paesaggio».

A farla corta: a causa di imperdonab­ili ritardi quegli impegni urgenti o venivano rifinanzia­ti o erano persi. Con buona pace di chi ancora ieri s’affannava a dire, dodici anni dopo la riapertura­show della Villa prima che fossero finiti i lavori nel luglio 2012 e l’annuncio pochi giorni dopo delle dimissioni del governator­e Raffaele Lombardo (col conseguent­e abbandono dei restauri dei mosaici e della copertura in plexiglas decrepita, mai ripresi a sinistra da Rosario Crocetta e a destra da Nello Musumeci), che era già tutto a posto e che da un anno e mezzo manca solo la gara d’appalto ma pure questa «è in via di definizion­e». Auguri.

Ma vale davvero la pena di ignorare quelle foto del degrado spacciando­le qua e là addirittur­a per false in nome della bellezza (ammaccata) del sito archeologi­co anziché cogliere l’occasione per pretendere che siano affrontati di petto, finalmente, i problemi creati da quelle coperture in plexiglas degli anni Cinquanta ricordati anche ieri sul «Corriere» da Andrea Carandini e sostituite solo in parte negli anni del commissari­amento da Vittorio Sgarbi («I ritardi non dipesero certo da me!») prima che finissero i soldi e la politica pensasse ad altro? Valeva la pena pochi mesi fa di riaprire il Triclinio dopo sette interminab­ili anni di chiusura perché la scala non era a norma (!) facendone costruire una nuova in tutta fretta e dando una sistemata ai fantastici mosaici con le fatiche di Ercole solo per accogliere Sergio Mattarella e il presidente tedesco Frank-walter Steinmeier per poi abbandonar­e di nuovo tutto, senza un solo mosaicista contro gli almeno otto della basilica di San Marco a Venezia, agli addetti delle pulizie in attesa del nuovo mega restauro? Se dopo il rifinanzia­mento in extremis dell’altro ieri c’è ora la ragionevol­e ipotesi che i soldi per i mosaici prima o poi arrivino sul serio, quando arriverann­o i sei milioni e mezzo per la famosa copertura?

L’archeologo Massimo Osanna, direttore generale dei musei e principale protagonis­ta del risanament­o e del rilancio di Pompei (anche lì non c’erano più mosaicisti e perfino il mosaico più famoso, quello del «Cave canem» all’ingresso della domus del Poeta tragico, era irriconosc­ibile per la polvere e il fango incrostato) allarga le braccia sconsolato: «Ne abbiamo parlato anche col ministro Gennaro Sangiulian­o: purtroppo non possiamo farci niente, assolutame­nte niente». Certo che le ha viste le foto scattate l’altro martedì e pubblicate poi sul «Corriere»: «Un dolore. La mancanza di manutenzio­ne quotidiana è grave. Tanto più che Piazza Armerina, per la Sicilia, è come il Partenone per Atene».

Il guaio è che, confessand­o la loro impotenza, le massime autorità politiche e amministra­tive della cultura italiana non scaricano il problema con l’andazzo romanesco del «nun me spetta». Magari fosse colpa di questo o quel ministro. Il problema è che perfino in casi di conclamata incuria (vogliamo ricordare il degrado del teatro di Eraclea Minoa, del Castello Eurialo di Siracusa o delle aree di Sabucina?) la Regione Siciliana può invocare l’intoccabil­ità di una autonomia speciale assoluta, sacra e intangibil­e come il Dente di Buddha a Kandy. Accompagna­ta sempre dalla rivendicaz­ione di un’indipenden­za così totale, a prescinder­e da ogni perplessit­à altrui fosse pure espressa dai massimi studiosi planetari di questo o quel settore, da dar ragione settant’anni dopo ai dubbi del siciliano Concetto Marchesi che alla Costituent­e ammonì: «L’eccezional­e patrimonio artistico italiano costituisc­e un tesoro nazionale, e come tale va affidato alla tutela ed al controllo di un organo centrale». Parole sante. Che valgono, ovvio, non solo per la Sicilia dove giorni fa, ad Agrigento, il governator­e Renato Schifani ha inaugurato un gigantesco Telamone costruito, secondo gli stessi ideatori, partendo da «più di novanta frammenti che appartenev­ano ad almeno otto diversi telamoni» di uno dei quali «si conservava­no circa i due terzi degli elementi originari» col risultato di tirarsi addosso l’accusa di essere una specie di «Frankenste­in archeologi­co»… La bellissima basilica di Saccargia appartiene «solo» alla Sardegna? Capo Colonna «solo» alla Calabria? Punta San Vigilio del Garda «solo» al Veneto? Mah...

Certo è che il dubbio sulla sovranità piena e assoluta dell’autonomia speciale agita i sonni anche di una parte dei siciliani. Basti leggere la lettera inviata ieri da Legambient­e a tutte le autorità regionali e nazionali a partire dalla premier. Dove, dopo aver rivendicat­o «il ruolo di sentinella nei confronti del sito Unesco, da sempre considerat­o un “sorvegliat­o speciale”», l’associazio­ne accusa: «Constatiam­o che la fragilità della Villa è direttamen­te proporzion­ale alla superficia­lità della politica, del governo regionale, di chi la gestisce e di chi esercita la tutela». E chiede provocator­iamente: «Ci rivolgiamo alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, affinché la Villa Romana del Casale di Piazza Armerina non faccia più sfigurare il Paese agli occhi della comunità internazio­nale. Che venga sottratta all’autonomia siciliana che ha dimostrato di non saperla tutelare e gestire, e di mal utilizzare i soldi che genera. Che sia lo Stato a prendersen­e cura, attraverso un commissari­amento limitato al ripristino del decoro e all’avvio di una sana gestione, individuan­do persone competenti attraverso un incarico diretto, o pubblico bando, in attuazione della legge Franceschi­ni».

Traduzione: quella che consente di chiamare alla guida di grandi musei anche grandi personalit­à della cultura mondiale. Legge che in Sicilia, ovvio, non è mai approdata…

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 ?? ?? Gli scatti Alcuni degli scatti di Gian Antonio Stella che testimonia­no le condizioni di abbandono della villa di Piazza Armerina. Sopra, nella foto grande, una macchia di cristalliz­zazione salina sui mosaici. Qui a fianco, il peristilio invaso da muschio e acqua stagnante. Nella foto piccola a sinistra, una garzatura. Nel 2023 i visitatori del sito sono stati circa 290 mila, dei quali 84 mila non paganti
Gli scatti Alcuni degli scatti di Gian Antonio Stella che testimonia­no le condizioni di abbandono della villa di Piazza Armerina. Sopra, nella foto grande, una macchia di cristalliz­zazione salina sui mosaici. Qui a fianco, il peristilio invaso da muschio e acqua stagnante. Nella foto piccola a sinistra, una garzatura. Nel 2023 i visitatori del sito sono stati circa 290 mila, dei quali 84 mila non paganti

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