Mosaici, ritardi e rattoppi
Dopo la denuncia del «Corriere», la Regione si impegna a rifinanziare i restauri
«Ooops, c’è un errore!». La Regione Siciliana, per pura coincidenza il giorno dopo la pubblicazione sul «Corriere» delle foto del degrado della Villa del Casale, ha «scoperto» che nella legge che stanziava un sostanzioso malloppo di euro per i mosaici di Piazza Armerina c’era una «svista». Tale da mettere addirittura a rischio il finanziamento. Detto fatto, mentre pattuglie di agiografi laudatores correvano a cantare la «perfetta» salute del sito a dispetto delle immagini, delle riprese televisive, delle denunce e dell’assenza di mosaicisti sostituiti dai ragazzi volenterosi di una cooperativa, si è precipitata a mettere un rattoppo sul buco.
Così, col corredo burocratico di 29 «visto», 34 «vista», 2 «preso atto», 3 «considerato» e 2 «ritenuto», l’assessorato ai Beni culturali e all’identità siciliana, in un delirio di cavilli, ha riconosciuto il 6 marzo (l’altro ieri!) che il Ddg. n. 5569 «Progetto di Completamento del Restauro della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina: interventi sui mosaici e sulle superfici decorate» conteneva «un errore» (così lo chiamano) rilevato due mesi fa dalla ragioneria e ha decretato che quel provvedimento ormai inservibile «è annullato» e i famosi 3.387.949,76 euro per i restauri, tolti dai vecchi Fondi europei di sviluppo regionale 20142020 defunti da quattro anni, saranno presi da un’altra parte e cioè dal «“Piano di Sviluppo e Coesione” della Regione Siciliana, Area tematica 6. Cultura — Settore di intervento 1 — Interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio».
A farla corta: a causa di imperdonabili ritardi quegli impegni urgenti o venivano rifinanziati o erano persi. Con buona pace di chi ancora ieri s’affannava a dire, dodici anni dopo la riaperturashow della Villa prima che fossero finiti i lavori nel luglio 2012 e l’annuncio pochi giorni dopo delle dimissioni del governatore Raffaele Lombardo (col conseguente abbandono dei restauri dei mosaici e della copertura in plexiglas decrepita, mai ripresi a sinistra da Rosario Crocetta e a destra da Nello Musumeci), che era già tutto a posto e che da un anno e mezzo manca solo la gara d’appalto ma pure questa «è in via di definizione». Auguri.
Ma vale davvero la pena di ignorare quelle foto del degrado spacciandole qua e là addirittura per false in nome della bellezza (ammaccata) del sito archeologico anziché cogliere l’occasione per pretendere che siano affrontati di petto, finalmente, i problemi creati da quelle coperture in plexiglas degli anni Cinquanta ricordati anche ieri sul «Corriere» da Andrea Carandini e sostituite solo in parte negli anni del commissariamento da Vittorio Sgarbi («I ritardi non dipesero certo da me!») prima che finissero i soldi e la politica pensasse ad altro? Valeva la pena pochi mesi fa di riaprire il Triclinio dopo sette interminabili anni di chiusura perché la scala non era a norma (!) facendone costruire una nuova in tutta fretta e dando una sistemata ai fantastici mosaici con le fatiche di Ercole solo per accogliere Sergio Mattarella e il presidente tedesco Frank-walter Steinmeier per poi abbandonare di nuovo tutto, senza un solo mosaicista contro gli almeno otto della basilica di San Marco a Venezia, agli addetti delle pulizie in attesa del nuovo mega restauro? Se dopo il rifinanziamento in extremis dell’altro ieri c’è ora la ragionevole ipotesi che i soldi per i mosaici prima o poi arrivino sul serio, quando arriveranno i sei milioni e mezzo per la famosa copertura?
L’archeologo Massimo Osanna, direttore generale dei musei e principale protagonista del risanamento e del rilancio di Pompei (anche lì non c’erano più mosaicisti e perfino il mosaico più famoso, quello del «Cave canem» all’ingresso della domus del Poeta tragico, era irriconoscibile per la polvere e il fango incrostato) allarga le braccia sconsolato: «Ne abbiamo parlato anche col ministro Gennaro Sangiuliano: purtroppo non possiamo farci niente, assolutamente niente». Certo che le ha viste le foto scattate l’altro martedì e pubblicate poi sul «Corriere»: «Un dolore. La mancanza di manutenzione quotidiana è grave. Tanto più che Piazza Armerina, per la Sicilia, è come il Partenone per Atene».
Il guaio è che, confessando la loro impotenza, le massime autorità politiche e amministrative della cultura italiana non scaricano il problema con l’andazzo romanesco del «nun me spetta». Magari fosse colpa di questo o quel ministro. Il problema è che perfino in casi di conclamata incuria (vogliamo ricordare il degrado del teatro di Eraclea Minoa, del Castello Eurialo di Siracusa o delle aree di Sabucina?) la Regione Siciliana può invocare l’intoccabilità di una autonomia speciale assoluta, sacra e intangibile come il Dente di Buddha a Kandy. Accompagnata sempre dalla rivendicazione di un’indipendenza così totale, a prescindere da ogni perplessità altrui fosse pure espressa dai massimi studiosi planetari di questo o quel settore, da dar ragione settant’anni dopo ai dubbi del siciliano Concetto Marchesi che alla Costituente ammonì: «L’eccezionale patrimonio artistico italiano costituisce un tesoro nazionale, e come tale va affidato alla tutela ed al controllo di un organo centrale». Parole sante. Che valgono, ovvio, non solo per la Sicilia dove giorni fa, ad Agrigento, il governatore Renato Schifani ha inaugurato un gigantesco Telamone costruito, secondo gli stessi ideatori, partendo da «più di novanta frammenti che appartenevano ad almeno otto diversi telamoni» di uno dei quali «si conservavano circa i due terzi degli elementi originari» col risultato di tirarsi addosso l’accusa di essere una specie di «Frankenstein archeologico»… La bellissima basilica di Saccargia appartiene «solo» alla Sardegna? Capo Colonna «solo» alla Calabria? Punta San Vigilio del Garda «solo» al Veneto? Mah...
Certo è che il dubbio sulla sovranità piena e assoluta dell’autonomia speciale agita i sonni anche di una parte dei siciliani. Basti leggere la lettera inviata ieri da Legambiente a tutte le autorità regionali e nazionali a partire dalla premier. Dove, dopo aver rivendicato «il ruolo di sentinella nei confronti del sito Unesco, da sempre considerato un “sorvegliato speciale”», l’associazione accusa: «Constatiamo che la fragilità della Villa è direttamente proporzionale alla superficialità della politica, del governo regionale, di chi la gestisce e di chi esercita la tutela». E chiede provocatoriamente: «Ci rivolgiamo alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, affinché la Villa Romana del Casale di Piazza Armerina non faccia più sfigurare il Paese agli occhi della comunità internazionale. Che venga sottratta all’autonomia siciliana che ha dimostrato di non saperla tutelare e gestire, e di mal utilizzare i soldi che genera. Che sia lo Stato a prendersene cura, attraverso un commissariamento limitato al ripristino del decoro e all’avvio di una sana gestione, individuando persone competenti attraverso un incarico diretto, o pubblico bando, in attuazione della legge Franceschini».
Traduzione: quella che consente di chiamare alla guida di grandi musei anche grandi personalità della cultura mondiale. Legge che in Sicilia, ovvio, non è mai approdata…