Tim, tonfo dei titoli in Borsa Calo record: nel finale meno 24%
Labriola: non compresi alcuni punti del piano. Scambiato il 13% del capitale
Il nuovo piano «Libera di correre» di Tim riceve un brusco alt dal mercato. A Piazza Affari il titolo è crollato del 24%, toccando i 21 centesimi e i minimi dal dicembre 2022. La capitalizzazione è scesa di oltre un miliardo di euro in un turbinio di scambi che ha visto cambiare proprietario oltre due miliardi di azioni, ossia il 13,5% del capitale.
Sin dall’apertura della Borsa, gli investitori sono parsi scettici sulla traiettoria di riduzione del debito di Tim e, quindi, sulla sostenibilità della compagnia telefonica dopo la vendita della rete a Kkr. E i loro dubbi sono aumentati dopo la presentazione della strategia, portando il titolo a passare dal -10% al tracollo di fine giornata (forse accelerato anche dai fondi algoritmici). «Posso capire che alcuni aspetti non siano stati chiariti però ho difficoltà a comprendere questa distonia tra quello che è stato comunicato fino ad oggi e quello che è successo», ha detto il ceo di Tim, Pietro Labriola. «Analizzeremo meglio anche i numeri legati agli scambi e faremo le nostre valutazioni».
Il crollo e il vortice di compravendite senza precedenti paiono infatti andare oltre il mero scetticismo sui numeri del piano al 2026, suscitando riflessioni e interrogativi di non facile risposta, anche per i vertici della società che il 23 aprile sottoporranno la loro riconferma al voto dell’assemblea degli azionisti di Tim. «Oggi i nostri bond sono cresciuti come valore ha rimarcato ancora Labriola . Il mercato obbligazionario vede quindi una storia di un livello del debito dell’azienda molto più sotto controllo rispetto al passato. Come mai si è chiesto il mercato azionario non la vede alla stessa maniera?».
L’analisi della reazione della Borsa dai più considerata eccessiva e delle sue conseguenze occuperà probabilmente le prossime ore e i prossimi giorni anche sul mercato, offuscando il contenuto industriale del piano «Free to Run» che pure conteneva non pochi spunti di novità. Dall’ingresso di Tim nel mercato dell’energia al potenziamento del cloud e dei servizi alle imprese, passando per un possibile ritorno al dividendo. L’attenzione del mercato si è però focalizzata tutta sul debito, il fardello che ha spinto la compagnia a vendere per 18,8 miliardi la rete al consorzio formato da Kkr, governo e F2i. Ebbene, la leva finanziaria iniziale della nuova Tim è parsa più elevata del previsto, mentre la riduzione dell’indebitamento a fine piano si è fermata al di sotto delle attese. «Se dal debito a chiusura del 2023 togli 14 miliardi (quanto si porterà via la cessione di Netco) arrivi a 6-6,5 miliardi ma il closing avverrà quest’estate e fino a quel momento continueremo a bruciare cassa», ha chiarito Labriola.
Si vedrà se le spiegazioni basteranno oggi a placare la tempesta sul titolo. Certo, il crollo di ieri non pare un buon viatico in vista dell’assemblea dei soci a cui Labriola ha chiesto la riconferma alla guida di Tim per portare a termine il suo piano. Al momento, la lista di candidati stilata dall’attuale board è l’unica in concorso. Fra gli addetti ai lavori, però, si vocifera che siano in corso lavori per presentare entro il 2 aprile una rosa di nomi rivale che potrebbe coinvolgere l’ex amministratore delegato di Tre Italia, Vincenzo Novari. Nel caso, l’ago della bilancia sarebbe con ogni probabilità Vivendi, il primo azionista di Tim con il 23,75% davanti alla Cdp (9,8%). Contrario alla vendita della rete a Kkr, tanto da aver presentato un ricorso contro l’operazione, nelle ultime settimane il gruppo francese è rimasto silente.