Corriere della Sera

«Trump mobilita la base attorno a paura e rabbia Joe umanizza la leadership»

Marshall Ganz, ideatore della campagna di Obama

- Di Andrea Marinelli

«Il movimento di Barack Obama si basava sulla speranza, quello di Donald Trump è incentrato sulla paura», spiega al Corriere Marshall Ganz, professore di leadership, organizzaz­ione e società civile a Harvard, l’uomo che ideò la campagna popolare, che nel 2008 contribuì a portare Obama alla Casa Bianca. Otto anni dopo, anche Trump è diventato presidente riuscendo a mobilitare — in modo diverso — la propria base, grazie alla quale ora punta a essere rieletto. «Con la paura costruisci una dipendenza verso la fonte di sicurezza, il leader».

E con la speranza?

«La speranza occupa quello spazio fra la fantasia e la certezza, è il campo delle possibilit­à. È sempre probabile che Golia vinca, ma a volte ci riesce Davide. È improbabil­e, come lo era che un uomo nero diventasse presidente di questo Paese nel 2007, ma è successo. Bisogna ispirare il senso di capacità delle persone, la volontà d’azione individual­e e collettiva. Questo porta in una direzione costruttiv­a. Se metti a confronto Obama e Trump, hai due direzioni opposte verso cui andare».

In quale direzione ha portato Obama?

«La speranza richiede azione. E penso che il successo che avemmo in quella campagna con Obama purtroppo non fu fatto fruttare nei primi due anni della sua presidenza. La tragedia fu che avevamo una base vastissima, ma lui preferì minimizzar­e l’opposizion­e invece di massimizza­re il sostegno. Questa scelta lo portò in una direzione sbagliata, si creò un vuoto che associato alla crisi del 2008, con la gente che perdeva la casa, cominciò a creare una base per Trump. Lo dico con rammarico, perché penso che Obama sia una brava persona e avesse buone intenzioni. Ma se siamo a questo punto, ha molto a che fare con quei primi due anni».

Lei che ruolo aveva nella campagna di Obama?

«Io sviluppavo il movimento grassroots, dal basso. Negli Stati Uniti abbiamo un’industria del marketing politico che macina miliardi e confonde la politica e il marketing. C’era voglia di qualcosa di diverso: vincemmo anche perché lavorammo sull’attività di organizzaz­ione locale, sullo sviluppo della leadership. Non chiedevamo alle persone soltanto di mandare email».

Ha un ricordo particolar­e di quell’esperienza?

«La notte che perdemmo in New Hampshire, quella in cui da una sconfitta nacque la frase “Yes We Can”. La mattina dopo incontrai Obama a colazione qui a Boston. Prima ancora che potessi dirgli qualcosa, venne verso di me e mi disse: “Lo so, lo so. Dobbiamo lavorare sull’organizzaz­ione”. Fu un momento speciale».

È una lezione che ha imparato anche Trump.

«Non è che non avesse una dimensione organizzat­iva. Le chiese evangelich­e sono state una base per Trump, oppure i poligoni. Ma è una politica diversa: qualcuno dice del risentimen­to, io direi piuttosto della rabbia. Prende questa forma perché non c’è fiducia che le cose possano cambiare davvero. Alle ultime elezioni, i luoghi che avevano più speranza riguardo al futuro hanno votato per Biden, quelli che ne avevano meno hanno scelto Trump. Trump è un surrogato: ogni volta che prende a calci qualcuno, e cose se fosse l’elettore a farlo».

Trump ha davvero più leadership di Biden?

«Bisogna distinguer­e fra leadership e demagogia. La leadership non è controllo, ma legittimaz­ione: non è una lotta solitaria, ma la capacità di stimolare un’evoluzione collettiva. Trump è un demagogo molto potente, ma è un pessimo leader perché non fa

‘‘Trump è un demagogo, ma è un pessimo leader perché non fa nulla per accrescere il potere della sua gente

nulla per accrescere il potere della sua gente. Anzi, ne sfrutta le debolezze».

E Biden?

«Sa umanizzare la leadership, questo gli permette di connetters­i con le persone. E ha ottenuto risultati notevoli, ne stiamo vedendo le conseguenz­e economiche. Ovviamente ha i suoi problemi. Trump è “Yes I Can”, Obama era “Yes We Can”: è una differenza enorme. Biden avrebbe bisogno di questo, di rendere la sua storia quella di tutti».

I risultati

«Ha ottenuto risultati notevoli, ma il leader deve riuscire a coinvolger­e la gente»

 ?? ?? Professore Marshall Ganz, 80 anni, insieme al Dalai Lama. Ha pubblicato «Raccontare il cambiament­o» (Francoange­li, a cura di Stefano Zordan)
Professore Marshall Ganz, 80 anni, insieme al Dalai Lama. Ha pubblicato «Raccontare il cambiament­o» (Francoange­li, a cura di Stefano Zordan)

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