Margherita Hack, una fiction convenzionale e senza pathos
Pensavo che per Rai Fiction fosse definitivamente terminata la stagione dei «santini», quei biopic agiografici o forse oleografici o forse semplicemente didascalici da seguire con la dovuta devozione per non vedere l’interpretazione. E invece «Margherita delle stelle», scritto da Monica Zappelli con la collaborazione di Federico Taddia, diretto da Giulio Base è un film-tv di disarmante convenzionalità (Rai1). Del resto, basta vedere tutte le regie di Giulio Base per non stupirsi del risultato. È quello di «Padre Pio», di «Maria Goretti», di «Giovanni Paolo II».
Non male come scelta per una Margherita Hack (interpretata da Cristiana Capotondi), l’astrofisica che si definiva atea, una «che non si è mai piegata a compromessi». La «vera» vita di Margherita Hack è stata fuori dal comune, un mirabile esempio di autostima e fiducia in sé stessa e, senza entrare nel merito dei suoi studi scientifici, degna di un omaggio televisivo; ma qui stiamo parlando di finzione, di sceneggiatura, di recitazione.
Se l’intento era quello di accontentarsi, di descrivere in maniera divulgativa la vita, le imprese, sportive e professionali dell’astrofisica (nata a Firenze e morta a Trieste), le difficoltà che una donna incontrava (incontra) sul posto di lavoro, persino l’amore (con Aldo De Rosa, conosciuto da bambina all’età in cui ci si arrampicava sugli alberi), si può dire che lo scopo sia stato raggiunto, dimenticando le ridicolaggini della cadenza toscana, delle goffe corse sulla pista d’atletica, del solito flashback iniziale, della voce fuori campo utilizzata apposta per coprire quello che il film non mostra.
Visti i primi dieci minuti di «Margherita delle stelle», lo spettatore ha visto tutto: non c’è crescita narrativa, non c’è pathos interpretativo, non c’è spessore di significati: tutto corre piatto come fosse un documentario vecchio stile.
Ci sono certi momenti in cui ci si chiede se la scena sia credibile (stavo per scrivere reale), tanta è la comica gravità con cui i personaggi dibattono i loro problemi. L’interprete principale recita senza recitare, pronuncia frasi senza dare loro la giusta importanza e senza rapporto con il pensiero forte di Hack.