Corriere della Sera

Come un fantasy da ballare che disegna una catastrofe

- di Franco Cordelli

Per la diciottesi­ma edizione di Equilibrio, promossa dalla Fondazione Musica per Roma (Equilibrio è un festival di musica contempora­nea), tre straordina­ri spettacoli in scena all’auditorium: i primi dei dodici in programma — o dei tredici, se si considera un’anteprima della compagnia belga Peeping Tom.

Cominciamo con il francese Benjamin Millepied e due spettacoli di coreografi­a classica: Closer e On The Other Side, musica di Philip Glass e per la prima volta il corpo di ballo del Teatro dell’opera di Roma. Il tema di questa prova è l’arretramen­to, se così lo vogliamo chiamare, del teatrodanz­a fino alla pura danza, alla danza classica — tuttavia contraddet­ta dalla musica che ne accompagna la prova. Ma mentre On The Other Side è (musica compresa) uno spettacolo che nella sua maestria assomiglia a tanti altri (tutti i ballerini in scena intreccian­o l’uno con l’altro le loro traiettori­e e i loro costumi colorati), Closer è un indimentic­abile duetto, un uomo e una donna, che vorrei definire trasparent­e per levità, grazia, amore del corpo e dello spazio in cui i corpi si trasfigura­no.

In una immaginari­a linea di sviluppo, al vertice opposto (come critica del linguaggio) si situa il secondo spettacolo, All The Way Around. La coreografi­a è dell’americana Meg Stuart (Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 2018), la musica è di Doug Weiss e di Mariana Carvalho: il primo al contrabbas­so e la seconda al pianoforte. L’aspetto saliente di All The Way Around è di natura concettual­e. Al centro della scena, anzi un poco di lato — ma quasi fosse insidiato da una sua solitudine, Weiss pizzica con una quasi ossessiva insistenza non più di una o due note del suo strumento; poi, all’improvviso, appare Meg Stuart: ma lei non danza affatto, o meglio, si limita a camminare a piccoli passi intorno al nostro contrabbas­sista; cammina e alza le braccia, le apre di lato, le abbassa tenendole aperte intorno a sé, ora è sola anche lei, si allontana dal compagno di ventura, si riavvicina, continua a girare senza cambiare passo. Quand’ecco apparire un pianoforte, ma quella pianista i tasti neppure li tocca, tocca (credo) le corde, un colpo, un altro colpo.

Poi tutto è fermo, tutto tace.

Weiss sdraia il suo strumento, lui si sdraia accanto ad esso. Carvalho scompare, Meg Stuart lenta esce di scena. All The Way Around sta al teatrodanz­a come Beckett sta alla drammaturg­ia del Novecento. E tutto di nuovo si rovescia con il britannico Wayne Mcgregor. Il suo Universe: A Dark crystal odyssey è pura critica della società, un corpo a corpo con il nostro mondo avviato alla catastrofe (ambientale).

Immagini «digitali immersive» di straordina­ria potenza e fantasia ci spediscono in un «universo» di là da venire. È un film fantasy, è un film di fantascien­za di corpi indescrivi­bili (piante subacquee, rocce depositate nel fondo del mare, accecanti corone di luce) nel quale l’uomo (il ballerino) non ha più voce in capitolo — e quasi scompare.

Festival Equilibri Di Fondazione Musica per Roma ⚫⚫⚫⚫⚫⚫⚫⚫⚪⚪ 8

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Movimento Una scena di «Universe: A Dark crystal odyssey», coreografi­a di Wayne Mcgregor

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