«I miei maschi fragili»
L’intervista L’attore in «Antonia», la serie in onda su Prime Con Martegiani coppia anche sullo schermo Mastandrea: da 30 anni racconto gli uomini tormentati Con Cortellesi l’eccezione: quel mostro ha lasciato il segno
La storia nasce da un’idea della mia compagna La stava scrivendo quando è arrivata la diagnosi dell’endometriosi: non si è buttata giù, l’ha inserita nel copione
Protagonista riluttante. Trent’anni di carriera, iniziata con un film ormai leggendario, Ladri di cinema di Piero Natoli. Una novantina di titoli in filmografia, con Bellocchio, Caligari, Scola, Virzì, Golino, Moretti, Soldini, Abel Ferrara, Ozpetek. Una stagione in prima linea, tra C’è ancora domani di Paola Cortellesi, Adagio di Sollima, la chiusura della trilogia di Diabolik dei Manetti Bros. E ora in tv, interprete e supervisore creativo della serie Antonia. Al montaggio del nuovo film da regista, Nonostante, e alla vigilia del lancio della sua società di produzione, Damocle. Per Valerio Mastandrea, maestro di understatement, è un bel paradosso. In Antonia (su Prime), ideata e interpretata da Chiara Martegiani, regia di Chiara Malta — ritratto molto ironico di una trentenne aspirante attrice alle prese con una crisi esistenziale e la scoperta dell’endometriosi — Mastandrea recita la parte del compagno, come nella realtà. E sprazzi della loro vita di coppia, a dispetto della proverbiale riservatezza, arrivano anche sullo schermo.
Cosa l’ha spinta a a concedersi così apertamente?
«La serie nasce da un’idea molto personale di Chiara. Mentre ci pensava è arrivata la diagnosi dell’endometriosi. E, invece di buttarsi giù, ha pensato di integrarla nella storia. È una patologia molto simbolica, ha a che fare con la maternità e le pressioni sociali. Un’occasione di intervenire sul tipo di racconto che si fa oggi delle donne, sempre super infallibili, quando la fallibilità fa parte dell’essere umano. Al di là del genere».
È stato chiaro subito che sarebbe stato sia direttore creativo che interprete?
«Ho provato a sottrarmi in tutti i modi come attore, ma era la cosa giusta. Il ruolo di supervisore creativo? Un sostantivo e un aggettivo che mi fa strano vedere applicati a me. Impegnativo. Avevamo già lavorato insieme, Chiara è la protagonista della mia opera prima, Ride, le avevo delegato molto del mio».
Manfredi il compagno di Antonia è agli antipodi dell’ivano di «C’è ancora domani» di Cortellesi.
«Da trent’anni interpreto maschi fragili, che non ce la fanno, se sembra una novità vuol dire che ho lasciato il segno... L’uomo tormentato l’ha raccontato bene per primo Massimo Troisi. Era un personaggio che rispettava le donne, com’è naturale che sia. Ora c’è l’occhio puntato su queste tematiche ma deve sempre vincere il racconto, se no diventa un pamphlet. L’arte deve fare altro».
Come ha fatto Cortellesi...
«La storia vince. È la forza del film di Paola. Che ha avuto l’effetto di uno tsunami. Ha usato ironia e intelligenza, per portare sullo schermo quello che vedi tutti giorni al telegiornale ma trasformandolo in grande cinema. E il risultato è più di un film. È arrivato a quattro generazioni diverse. E è stata coraggiosa a chiamare uno come me per la parte del marito di Delia».
Lei ha avuto dubbi?
«Molti. Lo sai che quella cosa io non la so fare? le ho detto. Ma aveva ragione lei. Ha preso la sua mostruosità e l’ha portata al ridicolo, all’idiozia. Lui è un pezzo di legno, un miserabile. Lei aveva le idee chiarissime, le ha sempre quando lavora. Per me è stato come andare nella Ddr».
La Germania dell’est?
«Si, Paola sembra uno di quegli allenatori nella Dresda nel 1972. Mentre io quando dirigo sembro uno della squadra di bob della Giamaica».
L’abbiamo vista in «Adagio», malavitoso in disarmo
«In mezzo al trasformismo straordinario degli altri, Favino, Giannini, Servillo. Io da trent’anni tengo basso».
Nei panni di Ginko, in compenso, ha fatto perdere la testa a Monica Bellucci.
«È la magia del cinema, succedono cose che nella vita non succederebbero mai».
A che punto è il nuovo film? «Sono al montaggio. È molto intimo. Con me recita un’attrice argentina bravissima, Dolores Ponzi».
Prossimo passo?
«Una società di produzione, piccola ma agguerrita: siamo in quattro, l’abbiamo chiamata Damocle. In un momento in cui le società chiudono noi apriamo, nello spirito con cui portammo a termine Non essere cattivo di Claudio Caligari. E tra i progetti c’è il film dal suo ultimo copione, Andare ai resti».
Come ispettore Ginko ho fatto perdere la testa a Monica Bellucci? È la magia del cinema, succedono cose che nella vita non succederebbero mai