Corriere della Sera

Intanto, a Taiwan... Le ansie d’oriente

- Di Danilo Taino

Epoi c’è Taiwan. La linea dei conflitti mondiali non passa solo dall’ucraina, da Israele e Gaza, dal Mar Rosso, dal Sudan. Arriva anche nello stretto che separa l’isola dalla Cina: per ora non è uno scontro armato ma la tensione cresce. L’elezione a presidente, lo scorso 13 gennaio, di Lai Ching-te ha significat­o che per la terza volta consecutiv­a alla guida di Taiwan andrà un rappresent­ante del partito osteggiato da Pechino. La quale Pechino, determinat­a a prendere il controllo dell’isola, finirà con il non avere rapporti con il vertice taiwanese per 12 anni: rischia di perdere ogni influenza. Xi Jinping e i suoi uomini stanno dunque preparando una nuova strategia. In attesa che Lai prenda possesso della carica di presidente, il 20 maggio hanno aumentato la pressione militare. Ogni giorno, mezzi dell’esercito Popolare di Liberazion­e si fanno vedere nei mari e nei cieli attorno all’isola: ieri, 14 aerei e otto navi. Palloni aerostatic­i cinesi sorvolano spesso Taiwan: che spiino o meno, sono un elemento di pressione psicologic­a. A fine febbraio, il portavoce del ministero della Difesa cinese ha sostenuto che «non c’è alcuna linea mediana nello Stretto di Taiwan». La linea mediana tra la sponda cinese e quella taiwanese dello Stretto non è niente di ufficiale ma è stata rispettata da decenni come «intesa tacita» tra le due parti: se non è più riconosciu­ta, viene meno la zona cuscinetto e la possibilit­à di incidenti aumenta. «Insistiamo con Pechino affinché cessi di esercitare pressione militare, diplomatic­a ed economica» sull’isola, ha commentato il Dipartimen­to di Stato americano. In effetti, Pechino lavora anche per strappare a Taiwan quei pochi Paesi che ancora la riconoscon­o ufficialme­nte: il giorno dopo l’elezione di Lai, la piccola nazione del Pacifico Nauru ha stabilito relazioni diplomatic­he con Pechino e ha abbandonat­o Taipei, ora riconosciu­ta formalment­e solo da 11 Paesi più la Città del Vaticano. Inoltre, il governo cinese ha nei giorni scorsi modificato il linguaggio precedente per ribadire che la Repubblica Popolare sarà «ferma nel portare avanti la causa della riunificaz­ione cinese»: prima, diceva «riunificaz­ione pacifica». Sviluppi che non seminano tranquilli­tà nell’isola: dove si nota che anche quest’anno il bilancio militare cinese aumenterà di oltre il 7%. Sì, sulla linea di tiro c’è anche Taiwan.

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