I LAZIALI NELLA BIRRERIA DI HITLER E L’ESERCIZIO DI STILE AL CINEMA
Caro Aldo,
i tifosi della Lazio ignoranti, quanto meno in storia, sono andati a inneggiare al Duce nella birreria di Monaco dove Hitler annunciò il programma nazionalsocialista, ritenendo di ricordare il legame dei fascisti con i nazisti. L’aspetto risibile è quello di non sapere che Hitler considerava Mussolini un po’ più, anzi un po’ meno, di un vassallo.
Arnaldo Laus
Un gruppo di laziali nello storico birrificio Hofbräuhaus, si esibisce con inni al Duce e saluti romani. Questa non è né politica né sport. Che senso ha?
Marco Ferrari
Cari lettori,
Mentre l’italia discuteva di un tweet — sbagliato e inaccettabile — di una professoressa su un’ex brigatista morta, un centinaio di neonazisti giovani, vivi e vegeti inneggiavano al Duce nella birreria di Monaco dove
Hitler progettava la conquista del potere, ed esponeva le sue idee che avrebbero portato a una guerra da decine di milioni di morti e allo sterminio programmato e sistematico di ebrei, rom, omosessuali, bambini down. Delle due, l’una: o pensiamo che Hitler avesse ragione; oppure potremmo non dico indignarci, non sia mai, ma almeno lasciarci sfiorare dall’idea che qualcosa non vada.
Conosco l’antifona: il fascismo e il nazismo sono morti e sepolti e non torneranno. Certo; e ci mancherebbe altro. Ciò non toglie che in Italia ci siano molti fascisti, e moltissimi che non hanno del fascismo un’idea negativa. Sento dire: è sempre stato così. È possibile. Ma non c’è dubbio che il filofascismo o l’anti-antifascismo siano ormai sdoganati, senza alcuna reazione che non sia lo sbuffo di noia o lo sguardo di compatimento. Se i candidati alla presidenza di Regioni importanti inneggiano o ammiccano al Duce, perché gli ultras della Lazio dovrebbero astenersi dal mettere alla berlina Anna Frank? Conosco anche l’altra antifona: il nazismo non è il fascismo. D’accordo. Il fascismo ha avuto molte facce: lo squadrismo, il regime, il blocco conservatore con nazionalisti e cattolici, il sussulto socialistoide di Salò. Ma qui siamo oltre, siamo all’elogio dei campi di sterminio. Goliardia di pessimo gusto? Anche, ma non solo.
Ho visto il video dei tifosi della Lazio in birreria dopo aver visto «La zona di sicurezza», il film su Auschwitz raccontata dall’altro lato del muro. È un film calligrafico. Arte per l’arte. Un esercizio di stile, pensato al più per la critica e per i premi (con due sole scene potenti da ricordare: il rinsavimento della suocera, e l’impazzimento del direttore del lager, che anche a una festa di nazisti pensa come potrebbe gasarli tutti, con quei soffitti così alti). Non ha nulla della forza drammatica di Schindler’s List. Ha la leziosità inane di una battaglia perduta.