L’ultimo graffio di Gabo
Esce oggi il romanzo postumo del premio Nobel. Che in vita non ne autorizzò la pubblicazione
«Con un atto di tradimento, abbiamo deciso di anteporre il piacere dei suoi lettori a tutte le altre considerazioni. Se loro lo apprezzeranno, è possibile che Gabo ci perdoni. Noi ci contiamo».
Rodrigo e Gonzalo García Barcha, figli di Gabriel García Márquez, disarmano il lettore. «Questo materiale è RISERVATO fino alla pubblicazione», avvertivano i ricercatori negli archivi dell’harry Ransom Center dell’università del Texas dove per dieci anni ha riposato l’opera lasciata inedita da García Márquez. Un romanzo breve in sei parti, una novella lunga? Gli eredi hanno portato i cimeli di quel grande in Texas nel 2014, subito dopo la sua morte. Compreso En agosto nos vemos, le diverse stesure, inclusa la versione finale che fu inviata alla sua agente letteraria, Carmen Balcells, nel 2004.
E ora, eccolo. Il libro, curato da Cristóbal Pera, esce oggi nel mondo (in Italia tradotto da Bruno Arpaia per Mondadori), nel giorno del compleanno dello scrittore colombiano, e s’intitola Ci vediamo in agosto.
Ma perché García Márquez scelse di non pubblicarlo, pur avendone terminato la stesura nel 2004? E perché nel 1999 ne aveva pubblicato la prima parte — un evento eccezionale anche per il «New Yorker» che aveva dedicato sedici pagine al maestro — per poi tornare al lavoro sul resto dell’opera che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto concludere il ciclo iniziato con L’amore ai tempi del colera e proseguito con Dell’amore e di altri demoni?
Inviò alla sua agente, come certifica l’università del Texas, la stesura finale nel 2004, dieci anni prima della morte, ma la sua salute già vacillava: profondamente provato dalle terapie per fermare una forma molto aggressiva di linfoma, dovette poi fare i conti con seri problemi cognitivi che intaccarono la mente straordinaria capace di immaginare Cent’anni di solitudine.
Fu così che l’ultimo lavoro del quale lo scrittore autorizzò la pubblicazione, ancora in vita, resta Memoria delle mie puttane tristi (celebre l’incipit che peraltro in tempi post-metoo avrebbe potuto causare perfino a un gigante come lui qualche difficoltà: «L’anno dei miei novant’anni decisi di regalarmi una notte di amore folle con un’adolescente vergine»).
Ci vediamo in agosto racconta una storia semplice: la protagonista Ana Magdalena Bach — qui il melomane García Márquez strizza l’occhio a noi lettori: è il nome della seconda moglie del grande compositore Johann Sebastian alla quale lui lasciò il famoso Quaderno con i manoscritti di alcuni minuetti, rondò, sonate, preludi, arie per soprano — torna ogni estate, sempre il 16 agosto, sull’isola dove è sepolta sua madre.
Ana Magdalena ha cinquantadue anni, è sposata da ventitré e da ventotto fa visita alla tomba della madre sulla piccola isola caraibica per portarle dei fiori, parlarle, e fare delle domande alle quali, «per la perfetta identificazione che sussisteva tra lei e sua madre», troverà poi risposta come per magia nei mesi successivi — in sogno, o attraverso uno sconosciuto che l’aveva avvicinata al mercato.
I temi di García Márquez ci sono tutti: il tempo, la solitudine, l’amore, il destino e le sue vie tortuose, la superstizione, la musica (il concerto per piano di Grieg), la prostituzione (quando Ana per prima tradisce il marito, l’uomo la scambia per una prostituta e le lascia venti dollari dentro la copia del libro che sta leggendo, Dracula di Bram Stoker, umiliandola, banconota che lei sente «bruciare come brace viva»).
Per i figli di Gabo si tratta di una scelta giusta, e sostengono che questo lavoro testimonia il suo talento e meritava di essere presentato al pubblico e non soltanto a qualche studioso autorizzato, riaprendo così l’annosa questione della volontà dell’autore. Certo, per citare il caso più famoso, l’umanità deve a Max Brod la scelta di ignorare le istruzioni dell’amico Franz Kafka che voleva fargli bruciare i suoi inediti; e, per citare il caso più recente, gli studiosi di T.S. Eliot stanno ripensando l’opera di quel grande alla luce delle 1.100 lettere da lui scritte all’amata Emily Hale, missive che lei — facendo infuriare il solitamente gelido gentleman — si rifiutò di distruggere e che sono state messe a disposizione dei ricercatori quattro anni fa.
Eppure nel mondo letterario americano c’è una certa prudenza: forse perché il capitolo pubblicato nel 1999 non appariva già allora come un capolavoro, forse perché nella versione italiana le pagine completamente inedite sono soltanto sessantotto, al netto di prefazione e apparato critico con delle interessanti scansioni degli originali (e c’è anche la firma anastatica di «Gabriel», che un po’ ci ricatta commuovendoci).
Qualche mese fa un autore del prestigio di Salman Rushdie ha dichiarato senza paura di polemiche al festival Kosmopolis di Barcellona, in Spagna, che «Gabo non voleva che questo libro venisse pubblicato. Quando l’ha scritto già soffriva di demenza senile, e sono preoccupato che arrivi nelle librerie. Dico fin d’ora
Atmosfere ricorrenti
I suoi temi ci sono tutti: il tempo, la solitudine, l’amore, il destino e le sue vie tortuose, la musica
che all’università di Austin ho lasciato dei miei manoscritti imperfetti, che non voglio siano divulgati».
Rushdie era amico di García Márquez che considera «lo scrittore più letto, e più amato, dai tempi di Dickens»: ha sempre portato nel cuore, in una carriera ricca di premi importanti e di grandi recensioni, la frase dell’amico secondo il quale «ormai alla mia età leggo poco i contemporanei, ma non mi perdo mai i nuovi libri di Rushdie e Coetzee», riconoscimento che per l’autore angloindiano deve valere più del Nobel che l’accademia di Svezia pare mal disposta ad assegnargli.
E adesso possiamo — volendo — radiografare questo libro, fargli la tac, ammettere che ci sono dei passaggi stranamente pigri, che la potenza della prosa del Márquez più grande qui si vede soltanto in piccoli fugaci squarci di luce abbagliante — la strada caraibica con «i maiali impavidi e i bambini nudi che li schivavano con mosse da torero» — ma quanto valgono quegli squarci? E quanto ci è mancato — quanto ci manca — García Márquez?
Il finale — che può sconvolgere soltanto chi non lo conosce — è il finale più alla García Márquez che abbiamo letto negli ultimi vent’anni, da quando cioè lui ha smesso di pubblicare. Quello che compie Ana Magdalena nell’ultima pagina di questo libro strano e imperfetto è un atto di oltraggio? Di necrofilia? Di amore? Un messaggio dall’aldilà dell’autore? García Márquez — attraverso i suoi figli — ci interroga, e chiede a noi di decidere.