Imprese confiscate per mafia Un titolare su cinque è donna Il fenomeno delle prestanome
Oltre 350 mila le imprese a rischio. Infiltrazioni in servizi e comunicazione
Sono oltre 355mila le imprese lombarde che presentano almeno un indicatore di rischio per infiltrazioni criminali. Tradotto: dalla presenza femminile in ruoli apicali alle percentuali azionarie al di sotto delle soglie di identificazione fino alle sedi legali ricorrenti. La liste delle possibile «spie» è di 30 voci. E, va precisato, un solo elemento non equivale a una penetrazione criminale. È la congiuntura che allarma. Nel caso in cui si considerino quindi un minimo di due fattori «pericolosi», il numero di aziende scende a quasi 60 mila. Il 6% del totale, contro un 65% che non compare in nessuna delle voci rischiose.
È questo lo spaccato che emerge dalla ricerca promossa da Polis lombardia, dalla Commissione regionale antimafia e da Transcrime dell’Università Cattolica. Lo studio sarà presentato oggi nel corso della seduta per il 32esimo anniversario della strage di Capaci. I settori in cui si concentrano le società lombarde con anomalie sono quelli di forniture di energia e gas, quelli scientifici, tecnici e legati alla comunicazione. Tra le province con aziende a rischio sotto almeno tre voci, spicca Milano (l’1% sul totale provinciale), seguita da Brescia e Como. Tra le altre «spie», oltre alla presenza femminile, i legami societari opachi che non permettono di risalire al titolare effettivo, i cambi di ragione sociale e di Cda, la ricorrenza nei vertici di persone già presenti in imprese fallite o non più attive e tutti quegli indicatori riconducibili alle cosiddette società cartiere.
La ricchezza attrae. Con oltre 840 mila imprese attive (poco meno del 20% di quelle italiane), la Lombardia produce un quarto del Pil nazionale. La criminalità organizzata così si adegua, se si considera che nell’ultimo decennio in regione c’è stato un solo omicidio di stampo mafioso. Le attività arrivate a confisca definitiva sono 248, pari all’8,4% delle confische nel Paese. «La criminalità preda le nostre imprese, spesso sprovviste degli anticorpi — commenta la presidente della Commissione antimafia Paola Pollini —. Questo studio offre un sistema di analisi quasi predittivo».
La conferma arriva dall’applicazione dei fattori di rischio a un campione di imprese colpite da interdittive della Prefettura dal 2018 all’anno scorso. È da questo incrocio che è emerso come un’azienda su cinque (il 20%) tra quelle «adocchiate» dal prefetto si distinguano per una presenza femminile nei ruoli apicali. Un elemento che permette di osservare la tendenza a collocare prestanome a capo di attività, magari parenti e talvolta donne. Che, nel mondo criminale — nonostante un panorama in evoluzione negli ultimi decenni — occupano posizioni gregarie o da «ambasciatrici».
Tra gli indicatori che lo studio sintetizza, una componente significativa la occupano anche le imprese con anomalie nelle carriere imprenditoriali dei propri leader, con precedenti esperienze in imprese fallite o non più attive. In questo caso, i riscontri sono sempre del 20%. Stessa percentuale per aziende legati a reticoli imprenditoriali sospetti. «Da sondare» il restante 40% delle aziende colpite da interdittive che non rispondono alle spie ipotizzate dallo studio. Un residuo che dimostra la complessa capacità di mimesi delle infiltrazioni che potrebbero agire in maniera diversa. Quindi da scoprire.