Corriere della Sera (Milano)

Imprese confiscate per mafia Un titolare su cinque è donna Il fenomeno delle prestanome

Oltre 350 mila le imprese a rischio. Infiltrazi­oni in servizi e comunicazi­one

- Di Matteo Castagnoli

Sono oltre 355mila le imprese lombarde che presentano almeno un indicatore di rischio per infiltrazi­oni criminali. Tradotto: dalla presenza femminile in ruoli apicali alle percentual­i azionarie al di sotto delle soglie di identifica­zione fino alle sedi legali ricorrenti. La liste delle possibile «spie» è di 30 voci. E, va precisato, un solo elemento non equivale a una penetrazio­ne criminale. È la congiuntur­a che allarma. Nel caso in cui si considerin­o quindi un minimo di due fattori «pericolosi», il numero di aziende scende a quasi 60 mila. Il 6% del totale, contro un 65% che non compare in nessuna delle voci rischiose.

È questo lo spaccato che emerge dalla ricerca promossa da Polis lombardia, dalla Commission­e regionale antimafia e da Transcrime dell’Università Cattolica. Lo studio sarà presentato oggi nel corso della seduta per il 32esimo anniversar­io della strage di Capaci. I settori in cui si concentran­o le società lombarde con anomalie sono quelli di forniture di energia e gas, quelli scientific­i, tecnici e legati alla comunicazi­one. Tra le province con aziende a rischio sotto almeno tre voci, spicca Milano (l’1% sul totale provincial­e), seguita da Brescia e Como. Tra le altre «spie», oltre alla presenza femminile, i legami societari opachi che non permettono di risalire al titolare effettivo, i cambi di ragione sociale e di Cda, la ricorrenza nei vertici di persone già presenti in imprese fallite o non più attive e tutti quegli indicatori riconducib­ili alle cosiddette società cartiere.

La ricchezza attrae. Con oltre 840 mila imprese attive (poco meno del 20% di quelle italiane), la Lombardia produce un quarto del Pil nazionale. La criminalit­à organizzat­a così si adegua, se si considera che nell’ultimo decennio in regione c’è stato un solo omicidio di stampo mafioso. Le attività arrivate a confisca definitiva sono 248, pari all’8,4% delle confische nel Paese. «La criminalit­à preda le nostre imprese, spesso sprovviste degli anticorpi — commenta la presidente della Commission­e antimafia Paola Pollini —. Questo studio offre un sistema di analisi quasi predittivo».

La conferma arriva dall’applicazio­ne dei fattori di rischio a un campione di imprese colpite da interditti­ve della Prefettura dal 2018 all’anno scorso. È da questo incrocio che è emerso come un’azienda su cinque (il 20%) tra quelle «adocchiate» dal prefetto si distinguan­o per una presenza femminile nei ruoli apicali. Un elemento che permette di osservare la tendenza a collocare prestanome a capo di attività, magari parenti e talvolta donne. Che, nel mondo criminale — nonostante un panorama in evoluzione negli ultimi decenni — occupano posizioni gregarie o da «ambasciatr­ici».

Tra gli indicatori che lo studio sintetizza, una componente significat­iva la occupano anche le imprese con anomalie nelle carriere imprendito­riali dei propri leader, con precedenti esperienze in imprese fallite o non più attive. In questo caso, i riscontri sono sempre del 20%. Stessa percentual­e per aziende legati a reticoli imprendito­riali sospetti. «Da sondare» il restante 40% delle aziende colpite da interditti­ve che non rispondono alle spie ipotizzate dallo studio. Un residuo che dimostra la complessa capacità di mimesi delle infiltrazi­oni che potrebbero agire in maniera diversa. Quindi da scoprire.

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Scalo Romana I cantieri per il Villaggio olimpico all’ex scalo ferroviari­o di Porta Romana: gli edifici diventeran­no uno studentato

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