«Per essere Michael Jackson ho superato la mia dislessia»
Joshua Consigli sarà Jacko nel biopic italiano
«No, non ero un fan sfegatato. Però il moonwalk lo facevo. La prima volta a 12 anni: associo al momento le facce dei miei compagni delle medie : “Ma come fai?”. Frequentavo l’istituto Parini di via Solferino». Michael Jackson, «l’altro», è milanese. Mentre rimbalzano in tutto il mondo le prime immagini del film che Antoine Fuqua sta girando negli Usa con Jaafar Jackson nei panni dello zio superstar, da questa parte dell’oceano si chiudono i lavori per una seconda pellicola dedicata al cantante. La firma è di Liana Marabini, il cast è internazionale e il protagonista è cresciuto a Milano, zona Pagano: si chiama Joshua Consigli. Attore, cantante e ballerino, 29 anni, mamma newyorkese e papà milanese, anche nei lineamenti sottili ricorda Jacko. «Al trucco non hanno dovuto fare grandissimi interventi, giusto i capelli». Il film scritto e diretto da Marabini, produttrice e regista, si intitola «A gift from god» (Un dono da
Dio) e racconta parte della vita di Jackson osservando una prospettiva singolare: «Vogliamo mettere in luce un aspetto praticamente sconosciuto del re de pop — spiega l’autrice —: ci focalizziamo sul rapporto tra Michael e la religione». Il periodo portato sullo schermo va dal 1982 al 1989, anni in cui “Thriller”, “Billie Jean”, “Bad” e altri successi scalavano le classifiche».
E intanto cosa succedeva?
«Michael Jackson — prosegue Consigli — aveva ricevuto una sorta di ultimatum: o la musica o la permanenza tra i Testimoni di Geova. Lui, infatti, abbracciava la religione della madre cui era legatissimo. Però pezzi come “Thriller” erano malvisti, si diceva che gli zombie veicolassero messaggi occulti. Ha scelto l’arte a caro prezzo: con la mamma non ha mai più potuto parlare di fede. Nel film raccontiamo una fase lacerante e altro che non svelo. Lì è iniziato un viaggio spirituale. Ammirava moltissimo Giovanni Paolo II. Il film sarà presentato a Cannes il 14 maggio».
Lei è un fan di Michael Jackson?
«Non sfegatato. Lo conoscevo. Ho scoperto che le sue fonti d’ispirazione — era ballerino di tip tap come poi sono stato io — erano anche le mie».
Come è stato coinvolto?
«Io nasco ballerino, poi ho fatto musica e recitazione. Nel giro dei provini sono stato notato. A dicembre mi è arrivata la proposta: vorresti questa parte? Ma certo! Poi è stato recapitato il copione e...aiuto!».
Perché «aiuto»?
«Perché fino a lì avevo avuto solo parti piccole. La mia forza è l’improvvisazione. Invece in quel caso, per il provino che comunque era richiesto, mi hanno recapitato sei scene, 18 pagine, da preparare in 4-5 giorni. Io però sono dislessico e con questo tipo di studio faccio davvero fatica. Mi sono concentrato, non so nemmeno quanto ho dormito: a differenza di altri riesco a liberarmi solo se so tutto a memoria, ogni parola, virgola, dettaglio. Alla fine ce l’ho fatta. Anche sul set andava così: finite le riprese mi riposavo, poi quando ancora era notte mi svegliavo e ricominciavo a imparare tutto a memoria. Nel film ballo anche: la controfigura alla fine non è stata presa».
I suoi esordi?
«Grazie a mia madre, la cantante Tracy Carol Hamilton, mi sono appassionato al
Ispirazioni
Come la popstar anch’io ho ballato il tip tap. Poi ho iniziato a studiare musica e recitazione
Il film sul cantante La pellicola della regista Liana Marabini sarà presentata a Cannes il 14 maggio
tip tap. Più tardi sono arrivate le lezioni al Bendy Dance Studio di via Telemaco Signorini, con Ben Elman Johnson che per me è stato un maestro a tutto tondo. Intorno ai 16 anni, la mia vita è cambiata. Già avevo cominciato a fare musica, a cantare (sono molto autodidatta), ero in vacanza a Barbados e ho conosciuto un produttore che ha deciso di investire sui miei brani. Ho detto sì. E via: avanti e indietro dall’Italia. Studiavo al liceo Leonardo Da Vinci ma viaggiavo troppo. Ho lasciato prima del diploma».
Le manca non aver concluso gli studi?
«Non ho rimpianti. Lì è stata la scelta giusta. Il mio pseudonimo è Cj Hamilton: tra i lavori, il singolo “Take to Flight” è diventato la sigla del Carnevale caraibico nel 2016. E non ho mai smesso di fare provini».
È tornato a vivere a Milano?
«Ora sì. Sono anche co-fondatore di un’agenzia di eventi, la Jumar Events: dove farlo se non a Milano?».