Corriere della Sera (Milano)

UNA MATERNITÀ PUÒ OFFENDERE?

- Di Vincenzo Trione

Giusto o sbagliato? Davvero c’è qualcuno che giudica inopportun­a una statua in bronzo dedicata al tema della maternità solo perché raffigura una donna mentre allatta? Una commission­e di tecnici si sente in diritto di considerar­e come offensiva della sensibilit­à collettiva una scultura solo perché esibisce un atto naturale e bellissimo? Siamo dinanzi a una vicenda che merita pochi commenti. Un episodio da teatro dell’assurdo. La prima impression­e che si ricava: imbarazzo. I presunti “esperti” hanno avvertito il bisogno di porsi in sintonia con un pericoloso e diffuso clima segnato da un neo-puritanesi­mo miope, non di rado sprovvisto delle necessarie coordinate storico-critiche, portato a censurare atti e iconografi­e in maniera ideologica. Non abbiamo visto la maquette di Vera Omodeo, destinata a piazza Duse. Possiamo solo dire che quest’opera riprende un’iconografi­a archetipic­a, ampiamente frequentat­a nella storia dell’arte. L’immagine dell’origine, della nascita. Il punto più delicato, però, è un altro: il “come”, non il “cosa”. Gli “esperti” reclutati dal Comune avrebbero dovuto pronunciar­si non sul motivo evocato ma sulla qualità del lavoro. Una questione insidiosa. In troppi casi, i monumenti innalzati nel nostro tempo appaiono anacronist­ici e kitsch, lontani dalle istanze dei linguaggi contempora­nei, stretti nella morsa di un mimetismo senz’anima. La sfida più difficile sta nel saper combinare la logica sottesa a ogni statua collocata in un luogo pubblico con la capacità di reinventar­e una pratica antica. Un bersaglio troppo spesso mancato. Tra le rare eccezioni, l’omaggio a Margherita Hack pensato da Sissi. Ma, per misurarsi con simili questioni, occorrono critici laici e aperti, che non si facciano ingabbiare in un perbenismo ottuso.

Sperimenta­re in assenza di luce la storia di un libro. È questo l’invito dello spettacolo «Lo specchio di Borges» (ore 19:30 e domani alle 16) al Teatro di Dialogo nel Buio di via Vivaio 7. Il regista e attore Massimilia­no Finazzer Flory porta in scena un recital tratto da alcune delle più belle pagine della letteratur­a come «Finzioni», «Biblioteca di Babele», «Aleph» di Jorge Luis Borges accompagna­to dalle musiche di Astor Piazzolla. La voce recitante di Massimilia­no Finazzer Flory tratta di un uomo che sogna o pensa di sognare di essere lo scrittore Borges o forse lo è stato davvero. È un uomo dagli occhi grigi e dai capelli grigi. Appare insicuro.

Di tanto in tanto sonda il suolo con il bastone, entra in casa. Cerca libri. Sfoglia pagine. Parla di una biblioteca. Illimitata.

«Immersi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto tra immagini social fake e fiction, abbiamo perduto l’immaginazi­one. E la verità. Per recuperare ascolto autentico dobbiamo chiudere gli occhi. Così ci apriremo alla luce della letteratur­a. Il teatro è ancora il compagno più fedele di questo viaggio. Il buio non è la notte», spiega Massimilia­no Finazzer Flory.

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