Ho visto la storia nel mio spritz
Silvia Cinelli: mi concedo voli di fantasia nel rispetto di date e fatti noti
Quante volte ci sarà passata davanti agli occhi quell’etichetta? Ammaliati dal rosso del Campari, non abbiamo mai notato che, sotto al marchio, c’era altro: un nome, Davide Campari, e una città, Milano. E così è stata una romana, la sceneggiatrice Silvia Cinelli più curiosa dei milanesi, a impossessarsi della storia della nascita del Bitter fino a farne un romanzo, «L’Elisir dei Sogni. La saga dei Campari» (Rizzoli). Colpa veniale. Avremmo ricordato i Campari se il cognome non si fosse estinto e l’ultimo erede non avesse interrotto il passaggio generazionale vendendo. «Anche per me il nome è stato a lungo solo il sinonimo di un aperitivo», ammette Cinelli, «fino a quando, grazie a uno spritz, ho scoperto osservando la bottiglia quei due riferimenti e mi sono messa sulle loro tracce perché avvertivo la possibilità di una storia».
Gaetano Campari, l’inventore della bevanda dolce-amara dall’inconfondibile colore (inizialmente chiamata Bitter all’uso di Hollanda), nasce a Novara. Il liquorista si sposta negli anni Sessanta dell’Ottocento a Milano e apre il Caffè all’ingresso della Galleria Vittorio Emanuele. Morirà nel 1882, avendo fatto in tempo ad assaporare il successo. Il nome Campari è un patrimonio da tenere e coltivare per i cinque figli: la (coraggiosa) vedova Letizia Galli non lo cede agli acquirenti che si fanno avanti. Da qui attacca il romanzo. «Leggendo la scarna biografia sulla
famiglia, mi ha colpito che a succedere al padre non sia il primogenito Giuseppe, ma Davide, il secondo», spiega l’autrice, «e che nonostante la fortuna accumulata e l’evidente prestigio si sposi alla soglia dei cinquanta». Le fonti — Cinelli ha studiato gli articoli dell’epoca, letto i volumi celebrativi aziendali e messo gli occhi dentro all’archivio, perfino sul
taccuino su cui annotava Gaetano — non rivelano le vicende intime familiari. «Ho rispettato il contesto storico, le date e i fatti noti, ma ho concesso alla fantasia di colmare le lacune sulle questioni private».
Il libro segue l’ascesa della ditta Campari. Dall’atmosfera fin de siècle del locale in Galleria, amato dalla città e frequentato
da Verdi, Filippo Turati e Anna Kuliscioff, dal direttore del «Corriere» Eugenio Torelli Viollier alla creazione della seconda bevanda, il Cordial Campari, oggi fuori produzione; dalla costruzione della fabbrica a Sesto San Giovanni alle prime pubblicità, sempre di Davide l’idea di coinvolgere gli artisti e solleticare l’immaginario delle persone senza inserire riferimenti alla bevanda. «Lui è il primo bambino nato in Galleria, la famiglia abitò per anni sopra al Caffè, la loro è una storia coraggiosa di self made d’altri tempi: si poteva non scriverne?».
Il locale in Galleria era amato da Verdi, Anna Kuliscioff e dal direttore Torelli Viollier