Emozioni da 117 anni Tutto iniziò in un’osteria
Il primo via alle 5.17 del 14 aprile 1907 vinse Petit-Breton su una Bianchi Da Coppi a Merckx, un albo d’oro di campioni e qualche «meteora» Di Nibali l’ultimo successo italiano
L’Osteria della Conca Fallata (specialità pugliesi, ottime recensioni) è ancora lì. Siamo in via della Chiesa Rossa 113, sul Naviglio Pavese e a solo 10 chilometri dal Duomo. La MilanoSanremo nacque davanti a quel punto di ristoro, alle 5.17 di un 14 aprile 1907 freddissimo e flagellato dalla pioggia sulle ceneri di una corsa motoristica che l’anno prima venne disertata dai piloti per i troppi pericoli nella parte appenninica del tracciato. Se i motard non hanno abbastanza coraggio, pensarono alla Gazzetta dello Sport che organizzava l’evento, allora proponiamola ai ciclisti. Dei 67 iscritti soltanto 33 ebbero il coraggio di presentarsi al via (a Giovanni Rossignoli la mamma chiese di partire con un ombrello agganciato al manubrio, lui fortunatamente rifiutò) e appena 14 arrivarono al traguardo. E se la Sanremo poi divenne celebre per essersi conclusa tante volte in volata, quello di 117 anni fa fu il primo sprint della sua storia: vinse il grande Lucien Petit-Breton su bici Bianchi favorito dal compagno di squadra Gerbi che nel rettilineo conclusivo tagliò la strada brutalmente a Gustave Garrigou con un gesto di pionieristico bullismo che nessuno ebbe il coraggio di sanzionare. Ganna e Galetti arrivarono a mezz’ora dal primo, gli altri alla spicciolata dopo un’ora. Tempo del vincitore, 11 ore abbondanti. Per l’ingresso della corsa nella leggenda del ciclismo toccò aspettare altri tre anni. I cronisti che la seguirono il 3 aprile 1910 registrarono pioggia battente, grandine e 25 centimetri di neve sul Turchino dove i primi a transitare tracciarono una sottile corsia sterrata nel manto bianco per chi li seguiva. Partirono in 63, arrivarono in quattro: Eugene Christophe (prima maglia gialla al Tour nel 1919) giunse al traguardo quando ormai pensava di aver smarrito la strada, dopo 12 ore e mezza di fatica brutale. In una Riviera dove ormai era calata la sera lo seguirono solo Cocchi, Marchese e Sala.
Tra le grandi classiche la Sanremo è quella che ha meglio resistito alle pause imposte dai conflitti: durante la Prima Guerra Mondiale saltò solo nel 1916, nel corso della Seconda nel 1944 e 1945. L’albo d’oro è di enorme prestigio: sette vittorie per Eddy Merckx, sei per Girardengo, quattro per Bartali e in epoca moderna per il tedesco Zabel, tre per Coppi, De Vlaeminck e per lo spagnolo Freire, altro velocista-opportunista di talento come Zabel. La prima vittoria del Campionissimo, quella del 1946, ispirò a Nicolò Carosio la celebre frase «Primo Fausto Coppi… e in attesa degli altri concorrenti trasmettiamo musica da ballo!».
Il francese Teisseire arrivò a un quarto d’ora, il tempo di un movimento sinfonico. Fausto vinse sempre per distacco mentre dei suoi quattro successi Gino Bartali ne ottenne tre in volate di nervi e rabbia. I sette trionfi Merckx li spalmò in undici edizioni con ogni soluzione tattica possibile. Moser e Saronni, divisi in tutto, si spartirono un successo a testa in solitaria, più affascinante quello di Saronni l’ultimo di un corridore in maglia iridata, ben
Selezione naturale Nel 1910, su 63 partecipanti solo in 4 giunsero al traguardo. Christophe impiegò 12 ore
41 anni fa: quest’anno Mathieu Van Der Poel è il candidato perfetto per interrompere il digiuno di un campione del mondo.
Per colpi di fortuna e bravura, pur conquistata da tutti i grandissimi delle due ruote, la Milano-Sanremo è toccata in sorte anche ad atleti di medio cabotaggio che hanno piazzato in Riviera il colpo della vita. In tempi moderni ecco Loretto Petrucci il cui soprannome («Meteora») però poco si addice alle vittorie del 1952 e 1953 e al bresciano Pierino Gavazzi nel 1980. Ma il successo più sconcertante fu quello, nel 1982, dell’occhialuto e misconosciuto francese Marc Gomez che in una giornata da tregenda partì sulla Cipressa assieme al più quotato connazionale Bondue che cadde sulla discesa del Poggio dandogli il via libera.
In una logica di controllo tattico totale da parte delle squadre più potenti, il Poggio è ormai da anni arbitro della corsa: l’ultima vittoria anomala fu quella del folletto varesino Claudio Chiappucci che nel 1991 la prese da lontanissimo sorprendendo gli avversari come poi provò a fare, senza riuscirci per la reazione rabbiosa dei rivali indispettiti dal gesto e dalla sua enorme popolarità, Marco Pantani nel 1999 due mesi prima di quella Madonna di Campiglio che ne stroncò carriera e vita. L’ultimo successo italiano (7 marzo 2018) fu frutto di un gesto che riassumeva genio, coraggio e talento di Vincenzo Nibali: allungo a poche centinaia di metri dalla vetta del Poggio, difesa strenua di 12 piccolissimi secondi di vantaggio con una discesa da brividi sull’Aurelia e un finale in piano che fece rischiare l’infarto ai tifosi. A pochi chilometri dal confine francese, l’unica parola per definire l’impresa del siciliano fu