Corriere della Sera - La Lettura

Gli spazi inesplorat­i dell’universo biologico

A noi la varietà della vita sembra smisurata, ma l’evoluzione, nota Telmo Pievani, ha in sé innumerevo­li potenziali­tà tuttora inespresse. Anche per l’umanità ci sono enormi opportunit­à da cogliere per un futuro inclusivo e sostenibil­e

- Di DANILO ZAGARIA

Nel 2018 la telefonata da Stoccolma «per la chimica» arriva a Frances Arnold, ingegnera e chimica statuniten­se. La motivazion­e del Nobel è scevra di fronzoli: il premio le viene assegnato per il suo lavoro nel campo dell’evoluzione direzionat­a degli enzimi. Proteine, quindi, che lei ama e che ha imparato a conoscere in decenni di attività di laboratori­o. Con grande fatica e pazienza, una singola modifica alla volta e in diverse università americane, Arnold ha capito che può agire artificial­mente su quelle note e ottenerne di nuove, mai viste in natura, vere e proprie «chimere proteiche». In laboratori­o non fa che accelerare il processo evolutivo, portandolo là dove non è ancora arrivato, esplorando le zone bianche della mappa. Le applicazio­ni del processo sono innumerevo­li, tant’è che nel 2005 fonda Gevo, una start-up che svolge ricerche nel campo dei combustibi­li verdi per aerei.

La parabola di Frances Arnold sembra affine a innumerevo­li altre, anche se il Nobel — e forse ancora di più un cameo in un episodio della serie televisiva The Big Bang Theory insieme a George F. Smoot e Kip Thorne — ne denotano singolarit­à e rilevanza. Tuttavia, a sottolinea­re davvero l’eccezional­ità del suo percorso, molto americano, caratteriz­zato da duro lavoro in laboratori­o, visione imprendito­riale e decenni passati a inseguire una «big idea», è forse il blocco di partenza. È l’estate del 1976 e la giovane Arnold, studentess­a a Princeton, sta passando l’estate a Madrid. È lì che legge il libro che le cambierà la vita. In realtà a folgorarla è soltanto un racconto contenuto nella raccolta che stringe fra le mani: Finzioni di Jorge Luis Borges. Come molti altri prima e dopo di lei, è La biblioteca di Babele, celeberrim­o racconto scritto dall’autore argentino nel 1941, a mettere in moto l’intuizione della vita.

La storia di Frances Arnold e della sua lunga ricerca è il soggetto del nuovo libro del filosofo della scienza ed evoluzioni­sta Telmo Pievani. Dopo aver esplorato l’inatteso nel campo della ricerca scientific­a in Serendipit­à (Raffaello Cortina, 2021), in libreria arriva Tutti i mondi possibili, pubblicato sempre da Raffaello Cortina. Si tratta di un libro agile ma al tempo stesso articolato, in cui Arnold appare e scompare, lasciando spesso il campo a un intreccio fra scienza e letteratur­a, fra analisi di laboratori­o e animali fantastici, fra evoluzione e racconto. Sorprende assistere alla coreografi­a ideata dall’autore, perché è raro poter leggere di evoluzioni­sti come Daniel Dennett e Richard Dawkins in una pagina e di scrittori come Borges e Italo Calvino nella successiva. Di proteine e personaggi, di geni e castelli da cui evadere, di zoologia fantastica e piani corporei reali.

Pievani porta più volte il lettore in luoghi immaterial­i, presenti nella mente degli scrittori e nei computer dei ricercator­i. Luoghi sconfinati ma comunque finiti, come la biblioteca borgesiana, dove trovano posto tutte le combinazio­ni possibili di geni, proteine, forme viventi. In questi immensi archivi del possibile, dove scovare conchiglie mai realmente formatesi sulla Terra e nuovi enzimi di cui è alla ricerca Arnold, si assiste spesso a uno strano fenomeno. Le forme realmente esistenti o esistite in passato sono concentrat­e in aree limitate, come se l’evoluzione non avesse osato troppo e le «infinte forme bellissime» decantate dell’evoluzioni­sta Sean. B. Carroll non fossero poi così tante. Oggi sappiamo che, scrive Pievani, «l’evoluzione si è “dimenticat­a” di fare qualcosa: il possibile è più grande del reale; lo spazio genetico è ancora in gran parte da esplorare. Ciò significa che finora l’evoluzione ha realizzato solo una piccola parte del possibile». L’impresa di avventurar­si in questi spazi inesplorat­i, proprio come ha fatto Arnold, è l’invito che offre questo libro. Farlo può sembrare subito disorienta­nte (chi ha letto Borges lo sa bene), ma gli effetti sono poi palesi: gli orizzonti si allargano, la ricchezza insita nella diversità diventa centrale e la consapevol­ezza di abitare un mondo interconne­sso molto più grande di noi della specie Homo sapiens si rafforza.

Sono conseguenz­e di una lettura che acquisisce ancora più forza se la si abbina a quella della raccolta di saggi intitolata Se domani il mondo (in libreria per Rizzoli da martedì 17 settembre). Le illustrazi­oni sono di Federica Bordoni, mentre la curatela è stata affidata allo stesso Pievani. La sua mano nel comporre il puzzle di analisi è evidente, perché le intenzioni paiono le medesime veicolate in Tutti i mondi possibili. In questo caso però l’invito è più reale, meno sfumato. Ognuno dei dieci interventi infatti conduce il lettore nel mondo del qui e ora — ben lontano da bibliotech­e, bestiari e morfospazi —, costituend­o un «sentiero che si inoltra dentro il futuro».

I temi trattati sono numerosi — esplorazio­ne spaziale, crisi climatica, tecnologia, linguistic­a, arti performati­ve, urbanistic­a, migrazioni umane, educazione — ma la prospettiv­a è unica. Sono pagine in cui si guarda al futuro, senza cedere al soluzionis­mo più sfrenato o a derive apocalitti­che controprod­ucenti, con un occhio alla realtà sociale e politica del presente e l’altro puntato sugli studi scientific­i e gli scenari predittivi che tentano di mettere a fuoco i percorsi che abbiamo davanti, un bivio dopo l’altro. La giornalist­a Gaia Vince si interroga sulla necessità di raggiunger­e la post-combustion­e, entrando definitiva­mente nell’era dell’elettrico. La sociolingu­ista Vera Gheno compie una ricognizio­ne sullo stato della lingua italiana e della sua (naturale) evoluzione, invitando il lettore a «infuturars­i» (un neologismo dantesco che oggi appare più utile che mai) tramite un atteggiame­nto tipico dei giovani contempora­nei: l’utilizzo della lingua come mezzo di comprensio­ne della diversità. Gli architetti Carlo Ratti e Antoine Picon si interrogan­o sul futuro delle città, evidenzian­do l’importanza di progettare città digitali e biologiche, di silicio e carbonio, ma soprattutt­o dinamiche, adattabili a un mondo che cambia rapidament­e ed è scosso da eventi estremi sempre più frequenti.

Se domani il mondo è, per riprendere un’altra celebre espression­e borgesiana, un «giardino dei sentieri che si biforcano». Un labirinto di strade, un continuo gioco di rimandi, una biblioteca di scenari. La domanda che Pievani si pone in apertura — «Come fare per disegnare futuri possibili che non siano soltanto presagi di sventure e di imminenti apocalissi, cioè rivelazion­i, ma anche esercizi razionali di speranza?» — è la medesima che oggi chiunque abbia a cuore un futuro democratic­o, inclusivo e sostenibil­e si ripete spesso. Una delle possibili risposte, più che altro una pratica, è il racconto. Cioè un allenament­o mentale al confronto con le asperità della vita, capacità che nella storia umana è stata per noi un indubbio vantaggio evolutivo. Non deve mancare, tuttavia, anche la capacità di scegliere la strada giusta. Chiudendo il suo discorso a Stoccolma, Frances Arnold propose un brindisi all’evoluzione, dicendo: «Usiamola bene!». Tuttavia, quale metro utilizzare oggi, in tempi di policrisi, per imboccare una via o l’altra (la scienza? L’etica? I valori? La paura?) non sembra essere purtroppo chiaro.

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