Corriere della Sera - La Lettura
La nostra schiavitù si chiama resilienza
Con la compagnia Carrozzeria Orfeo mette in scena le dipendenze dei ricchi immaginandoli in riabilitazione nello spazio. E attacca
Una compagnia speciale, Carrozzeria Orfeo: 15 anni d’attività, fondata e diretta da Gabriele Di Luca e Massimiliano Setti, e undici spettacoli che hanno decisamente conquistato pubblico e critica, con la loro fluida ma anche sincopata capacità di accostarsi alla realtà, feroci, cinici e sagaci osservatori del quotidiano, divertenti e drammatici. Di Luca, ottimo drammaturgo, osserva, inventa e fa sua, con ritmata eleganza e forte espressività, la realtà che è vera ed eccessiva e molto infelice, e come tale beckettianamente divertente, una fauna metropolitana di frustrati, reietti, delusi e disperati, grotteschi e reali, dal linguaggio volgare e povero.
Ora Di Luca, sempre con i suoi ritmi travolgenti, volge il suo talento verso i ricchi in Salveremo il mondo prima dell’alba, da giovedì 11 al 14 gennaio al Teatro delle Muse di Ancona: la regia è di Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi e lo stesso Di Luca, protagonisti i valenti Alice Giroldini, Sebastiano Bronzato, Sergio Romano, Roberto Serpi, Massimiliano Setti e Ivan Zerbinati (insieme nella foto sopra di Manuela Giusto). «I personaggi — precisa l’autore — saranno ricchi. Volevamo indagare l’universo sconosciuto del benessere e del successo ai massimi livelli, attraverso il racconto di coloro che, pur essendo considerati pienamente vincenti, potenti e ricchissimi, sono comunque imprigionati, paradossalmente, nello stesso vortice di responsabilità asfissianti, doveri castranti, sensi di colpa e infelicità che appartengono a tutti. Frantumati da ciò che la mentalità capitalista e il potere non possono comprare: amore e stima per sé stessi e la soluzione a quel dolore opprimente che, spesso, non permette di attribuire un senso autentico all’esistenza. Ci interessava inoltre esplorare le dipendenze moderne: sessuali e affettive, da lavoro, droghe e psicofarmaci».
Lo spettacolo racconta di un gruppo di ospiti di un rehab, sontuosa clinica nel nulla dello spazio. Ogni paziente-ospite cerca di capire le proprie dipendenze e tenta di osservare e conoscere, per quanto possibile, il proprio egoismo o semplicemente cerca una via di fuga da una realtà opprimente. «La creazione — precisa Di Luca — vuole farsi metafora di un modello di vita ormai giunto a un punto di non ritorno. Ciò che rimane è un’umanità confusa e impaurita, sopraffatta dall’ossessione di un continuo doversi vendere, con il terrore che nessuno ti voglia mai comprare».
Tensione e infelicità, diversa ma pur sempre simile a quella dei reietti di altri lavori di Carrozzeria Orfeo. «Il tema centrale della commedia — racconta il drammaturgo — si fonda sulla riflessione che, a nostro avviso, nei prossimi decenni, l’umanità non sarà in grado di ritrovarsi unita nel combattere le grandi battaglie collettive, da tempo rimaste inascoltate, semplicemente perché non è preparata a farlo. Potremo concentrarci su queste, solo se riusciremo prima a riabituarci a guardare con occhi attenti ciò che ci è vicino, solo se riusciremo ad arginare tutta la feroce violenza quotidiana tra esseri umani. Perché lo sappiamo tutti, ci troviamo di fronte a una pandemia di indifferenza ed egoismo». E allora come faremo a salvarci prima dell’alba? «Non siamo in grado di riconoscere le cose importanti — osserva Di Luca — e siamo troppo stanchi ed esausti a causa del resto. Vediamo la vita solo sfiorando la catastrofe. Se riusciremo a riavvicinarci attraverso un gesto e un pensiero sincero, un insignificante atto di cura gratuita, se riusciremo a ritagliare, dentro il caos, uno spazio per il pensiero semplice, familiare e umano, forse, potremo salvare il mondo prima dell’alba».
Un altro tema anch’esso molto attuale è il volo spaziale. «Molti articoli oggi ci raccontano di come, tra pochi anni, “esploderà” il fenomeno del turismo spaziale — rileva l’autore — evidentemente destinato solo a pochi facoltosi, dove sarà possibile essere ospitati in satelliti in orbita intorno alla Terra. Quale contesto migliore per isolare i nostri ricchissimi, avidi e complessi protagonisti in un luogo di silenzio? Un rehab nello spazio a 400 chilometri dalla terra, e un’enorme cupola circolare e ipermoderna che li sovrasta con un senso di libertà e al tempo stesso d’oppressione».
Lo spettacolo, pur distanziandosi da quel mondo «degli ultimi» caro alla compagnia, precisa Di Luca, «prosegue e, in un certo senso, potenzia la nostra poetica. Siamo alle prese con una società sempre più triste, eppure satura di foto felici in cui non sembra più esistere un luogo dove riconoscersi come soggetti autentici. Perché l’unico comandamento sembra essere quello di produrre: l’errore è bandito, la sofferenza individuale è percepita come una vergogna. Mentre va affermandosi la nuova eroica parola portavoce del capitalismo. È resilienza, che, nel cinico pragmatismo di questo sistema, in fondo significa: “Resisti nonostante tutto, ignora te stesso e il tuo dolore, produci, produci, produci!”. La nostra è un’impossibile ricerca senza tempo. È da qui che viene il nostro dolore».