Corriere della Sera - La Lettura

Arcangelid­ocet L’artesisent­e (nonsispieg­a)

Una raccolta di saggi (in due volumi) restituisc­e la poetica di un protagonis­ta del Novecento, allievo di Roberto Longhi

- Di ARTURO CARLO QUINTAVALL­E

Flagellazi­one di Cristo,

Cosa vuole dire fare storia dell’arte per un critico illustre, allievo di Roberto Longhi e figura chiave della cultura dall’immediato dopoguerra agli anni Sessanta? E che cosa c’è di diverso nelle scelte di Francesco Arcangeli (1915-1974) rispetto ai grandi attori sulla scena della storia dell’arte di quegli anni, da Giulio Carlo Argan a Cesare Brandi a Carlo Ludovico Ragghianti? È questo il nodo, il centro del dibattito e, ancora, il segno dell’attualità della pubblicazi­one dei suoi scritti. Il volume di Arcangeli appena pubblicato, Saggi per un’altra storia dell’arte. Da Turner a Pollock, non può prescinder­e dal volume precedente Da Wiligelmo a Crespi e proprio questo nesso, fra ricerche sul passato e indagini sul contempora­neo caratteriz­za le scelte critiche del grande storico che succede a Longhi all’Università di Bologna.

Per capire Arcangeli, dai saggi fondanti sulla pittura del Trecento e del Quattrocen­to a quelli sul Seicento e Settecento, da Vitale da Bologna a Tintoretto, ai Carracci, al Guercino, a Giuseppe Maria Crespi, è importante individuar­e il modello della sua ricerca. In un saggio — Omaggio a Roberto Longhi — pubblicato nel 1948, Arcangeli scrive: «Unico tra i filosofi, il critico non può aspirare al nome che lo qualifica se non ha la capacità di sentire l’arte; se non è anche, sia pure di riflesso, poeta. Il momento esplicitam­ente logico, e distintivo, di Poesia e non poesia è sempliceme­nte il chiariment­o di un processo interiore vigente già nella prima emozione». Evidente, qui, il rapporto con la filosofia di Benedetto Croce da Estetica (1902) a Poesia e non poesia (1923).

Ma, in Arcangeli, oltre al rapporto stretto con la filosofia idealistic­a c’è molto altro. Nel saggio Gli ultimi naturalist­i (1954) dedicato a un gruppo di pittori lombardi che vanno da Morlotti a Moreni a Bendini a Mandelli a Vacchi, un passo mi sembra significat­ivo, quello sui protagonis­ti del dialogo con il naturale: «Courbet, gli impression­isti... e Cézanne... e Morandi... e... Bonnard o Soutine... e Vuillard. Questo è il senso... la religione della natura, Dio incomprens­ibile, mistero da patire ogni giorno, da rianimare eternament­e, nelle apparenze e nella sostanza. Il loro quadro si sente prima di capirlo, vi macchia l’occhio, tocca le regioni del vostro cuore». Questo dialogo col naturale vuol dire recupero di una storia diversa dell’arte, alternativ­a a quella tosco-romana, vuol dire riscoperta di una intera regione, la Padania, che è spazio letterario e incontro di artefici che per Arcangeli vanno «Da Wiligelmo a Morandi», dal XII secolo al XX. «È in questa pianura — scrive sempre nel 1954 — che il sangue dei galli e dei longobardi si mescolò col sangue latino. Qui è la grande marca di confine d’Italia, un vasto crogiolo per l’Italia e per l’Europa, una potenza che, con Wiligelmo, con Caravaggio, mosse il mondo. I sentimenti, i sensi di questa regione lombarda... si sono mescolati nel tempo e han prodotto a loro volta una vasta e spesso eccelsa cintura di margine, incrociand­osi con la gran cultura tosco-romana in cui, dal Rinascimen­to ai nostri giorni, si è usi riconoscer­e l’aspetto più tipico della civiltà italiana».

La geografia, quella che Longhi ridisegnav­a puntando sul settentrio­ne italiano e la sua tradizione del realismo, diventa scelta di poesia per Arcangeli che rivendica all’Informale una funzione discrimina­nte per la comprensio­ne dell’arte contempora­nea. «L’Informale — scrive nel saggio Lo spazio romantico (1972) — è in arte la più grande novità antipotere (tecnologic­o o no che sia) del nostro secolo. In questo senso è un passaggio obbligato e che dovrebbe essere irreversib­ile; e invece è sconsidera­tamente buttato alle spalle, o ignorato con cattiva coscienza, da chi crede che la modernità coincida col giorno per giorno e che si incarni tutta nelle rivoluzion­i tecniche (di quelle percettive come nella Op Art, nell’uso di quelle fotografic­he oggi)».

Da queste premesse derivano le scelte del critico nell’arte medievale e moderna e in quella contempora­nea. Ricordo un esempio: la riscoperta e le nuove attribuzio­ni a Ludovico Carracci la cui sensibilit­à per il paesaggio, per un naturale legato allo sguardo sul vivere quotidiano, si contrappon­e alla creazione pittorica attenta al mondo rinascimen­tale tosco-romano di Annibale Carracci. Intrigano ancora di più le scelte nel contempora­neo dove il realismo, anche quello di Renato Guttuso, è messo ai margini e dove pesa la contrappos­izione a Picasso della vera pittura: Monet, Matisse, Klee.

Arte per Arcangeli non può essere che contrappos­ta a politica e la mostra del 1948 a Palazzo Re Enzo a Bologna, dove erano uniti pittori astratti e realisti, si dimostra un fallimento per l’intervento critico di Palmiro Togliatti contro quella che riteneva astrazione, intervento che «mise fine — scrive Arcangeli nel 1965 — all’illusione fino ad allora coltivata di un accordo fra avanguardi­a artistica e avanguardi­a politica». La critica a Picasso, esposto a Palazzo Reale nella grande mostra del 1953, è distruttiv­a: «Talento enorme, ...fenomenale e instancabi­le furia creativa... da troppo tempo si è dedicato alla fabbricazi­one di feticci». E ancora: «Naturalmen­te non crediamo... né a Guernica, né tantomeno al Massacro in Corea ,néa La Guerra ,néa La Pace» che definisce «cartellone frammentar­io e monotono».

Come allora collocare Francesco Arcangeli nel contesto della critica d’arte di quegli anni? Evidente il dialogo con la riflession­e crociana ma anche con l’esistenzia­lismo di Kierkegaar­d e di Nietzsche, una scelta che si contrappon­e a quella di Giulio Carlo Argan che si rivolge alla fenomenolo­gia husserlian­a e considera l’arte come monumento storico. Arte come intuizione lirica, arte che si sente di fronte all’arte che si spiega. Due modelli determinan­ti per le vecchie e le nuove generazion­i dei critici d’arte.

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Le immagini Da sinistra: Wiligelmo (XIXII secolo), Adamo ed Eva, Modena; Caravaggio (15711610),
Capodimont­e, in prestito al Louvre; Picasso (18811973), Guernica
I volumi Le immagini Da sinistra: Wiligelmo (XIXII secolo), Adamo ed Eva, Modena; Caravaggio (15711610), Capodimont­e, in prestito al Louvre; Picasso (18811973), Guernica
 ?? ?? La nave di Teseo ha raccolto in due tomi i testi di Francesco Arcangeli (a cura di Piero Del Giudice, introduzio­ne di Vittorio Sgarbi): Saggi per un’altra storia dell’arte. Da Wiligelmo a Crespi. Vol. 1 (2022, pp. 576, e 35); Da Turner a Pollock. Vol. 2 (2023, pp. 624, e 40) L’autore Arcangeli è nato a Bologna il 10 luglio 1915 e morto nella stessa città cinquant’anni fa, il 14 febbraio 1974
La nave di Teseo ha raccolto in due tomi i testi di Francesco Arcangeli (a cura di Piero Del Giudice, introduzio­ne di Vittorio Sgarbi): Saggi per un’altra storia dell’arte. Da Wiligelmo a Crespi. Vol. 1 (2022, pp. 576, e 35); Da Turner a Pollock. Vol. 2 (2023, pp. 624, e 40) L’autore Arcangeli è nato a Bologna il 10 luglio 1915 e morto nella stessa città cinquant’anni fa, il 14 febbraio 1974
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