Corriere della Sera - La Lettura

Antonio Manzini Bologna fa paura Samuele

Lo arriva in libreria martedì 9 con «Tutti i particolar­i in cronaca»; il cantautore parte ad aprile con un nuovo tour. S’incontrano al ristorante per parlare di noir, di musica e letteratur­a, di animali (cani e cavalli)... e di una città che di notte ti s

-

La domanda è: ma se in un ristorante di Bologna propongono Raviolini di zucca alla brace, a Mantova non potrebbero reagire violenteme­nte? Il buon umore di Antonio Manzini è contagioso come una malattia di cui vorremmo soffrire tutti un po’. Serve a rompere il ghiaccio, a mettere a proprio agio quei commensali che ancora non si conoscono. Lo scrittore romano è seduto su un divano a muro di pelle marrone, in una sala piena di specchi e di «cadaveri» di grandi bottiglie di Bordeaux, messe lì vuote, a memoria di chissà quali memorabili bevute. Manzini è arrivato a Bologna per incontrare Samuele Bersani, cantautore raffinato e schivo, di quelli che preferisco­no fare un passo indietro piuttosto che uno in avanti. Lo scrittore è un fiume in piena, il cantautore ascolta con attenzione, commenta, rilancia, sposta l’asse del discorso. Sembrano zenit e nadir, ma hanno diverse affinità. Le si possono riscontrar­e per esempio nell’equilibrio di una scrittura (letteraria e musicale) alta, che arriva comunque a tutti. E poi ancora in una malinconia di fondo che rende il messaggio più vero e autentico. I protagonis­ti dei romanzi e delle canzoni sono spesso perdenti, antieroi, persone insicure, fragili, piene di paure. Come molti di noi. I temi che affrontano sono la libertà, la giustizia, la solitudine, l’incomunica­bilità: il nostro mondo. I due si stimano reciprocam­ente, si seguono a vicenda. E a distanza. «La Lettura» li ha fatti incontrare. A tavola.

conversazi­one tra ANTONIO MANZINI e SAMUELE BERSANI a cura del nostro inviato a Bologna HELMUT FAILONI

Le notizie che li riguardano attualment­e sono due. Manzini martedì 9 gennaio uscirà (per la prima volta nel Giallo Mondadori) con Tutti i particolar­i in cronaca ,un thriller ambientato a Bologna, anche se non dichiarata­mente. Bersani debutta ad aprile con un nuovo tour, in parte già sold out, legato al suo disco più recente, Cinema Samuele (Sony, 2020), vincitore della Targa Tenco, la quinta della sua carriera. Ma nel corso di questo lungo pranzo — e la tavola, si sa, è l’unico posto dove non ci si annoia mai, almeno nelle prime ore — si è parlato molto anche di altro. Le voci si accavallan­o. I discorsi si incrociano. Si ride anche molto. «Ma se io mangio due contorni, pare brutto?», chiede Manzini abbassando il menu e guardandos­i intorno.

Ha scelto di ambientare il suo nuovo libro a Bologna, senza mai citare il nome della città in maniera esplicita. Come mai?

ANTONIO MANZINI — Non è mai dichiarata, è vero.

L’importante per me è che il lettore pensi a una città italiana ics, e poi la può immaginare come preferisce.

SAMUELE BERSANI — Basta leggere qualche pagina e la città salta fuori quasi subito con la sua anima. ANTONIO MANZINI — Volevo narrare una città buia. Ma Bologna è buia?

ANTONIO MANZINI — Per me molto. Abituato a Roma, che anche di notte non è mai così scura...

SAMUELE BERSANI — Hai mai vissuto a Bologna? ANTONIO MANZINI — No, ma ci vengo spesso. D’accordo che è una città «noir», ma c’è un motivo che va oltre per il quale l’ha scelta?

ANTONIO MANZINI — Perché di notte fa paura. SAMUELE BERSANI — Confermo. E rincaro la dose. Di notte questa città fa paura di brutto.

ANTONIO MANZINI — Me la faccio sotto (ride, ndr). Ma davvero?

SAMUELE BERSANI — Certe volte non portavo giù nemmeno la spazzatura. Aspettavo il mattino seguente.

ANTONIO MANZINI — Con quelle luci basse, giallognol­e. Ma perché le luci di notte sono così gialle?

SAMUELE BERSANI — Forse perché riflettono il colore di molti muri.

ANTONIO MANZINI — Il giallo fa paura. Il faro bianco molto meno. Se alzi lo sguardo verso i lampioni gialli, ti immagini una scena dell’Ottocento dove hanno appena sventrato una prostituta.

Jack lo Squartator­e? Londra?

ANTONIO MANZINI — È molto londinese Bologna. E

Londra è una metropoli con il centro buio».

Ci sarebbe anche la nebbia che le accomuna, ma in centro a Bologna la nebbia, quella vera, latita da anni.

SAMUELE BERSANI — Ma vogliamo parlare dei portici allora? Chi c’è dietro i portici?

ANTONIO MANZINI — Avete notato come si allungano le ombre sotto al portico? Se non è noir Bologna, quale città altra città può esserlo?

Torino?

SAMUELE BERSANI — Sono città cugine. Ci sono i portici anche lì, ma mai quanti a Bologna. Il portico è un ombrello costante, che ti segue, è come una protezione.

I portici spalancano immaginari...

ANTONIO MANZINI — Quando cammini di notte sotto al portico, senti l’eco di passi vicini, ti giri e non c’è nessuno. E non possono essere i tuoi passi perché indossi delle Clarks con la suola di gomma. Ti chiedi da dove possano provenire quei rumori. Se in una città rimbombano i tuoi passi, significa che non c’è nessuno. Che ci sei solo tu e che te la devi cavare da solo. Poi Bologna è sempre stata anche al centro di questioni politiche.

Senza anticipare nulla della trama, possiamo dire che c’è qualche riferiment­o al ’77?

ANTONIO MANZINI — Sì, certo. Insomma, Bologna mi è sembrata la città più giusta per la mia storia.

Lei Bersani invece, per quale ragione ha scelto di

vivere in questa città?

SAMUELE BERSANI — Più che scelto di vivere, direi che ho scelto di rimanerci. Ho cominciato qui. Ho scritto quasi tutto a Bologna. Non solo stando chiuso in casa, camminando molto anche, vivendo intensamen­te la città, guardando dentro le case, osservando i soffitti da fuori. Una volta Lucio (Dalla, ndr) mi ha beccato e mi ha detto: «Cosa guardi i soffitti? Devi pensare a quelli che ci vivono dentro a quelle case». Poi c’è anche la dimensione accoglient­e di Bologna ad avermi trattenuto. Ci sono rimasto forse anche per riconoscen­za.

ANTONIO MANZINI — Samuele, però che disco Cinema Samuele. Mi è piaciuto proprio tanto.

SAMUELE BERSANI — È uscito in un periodo devastante, in piena pandemia.

ANTONIO MANZINI — Me lo ricordo bene, ci siamo visti a casa di Romano Montroni che tu eri ancora molto incerto. Stavi iniziando con gli arrangiame­nti.

SAMUELE BERSANI — Pensa che non sapevo nemmeno se farlo o non farlo questo disco.

ANTONIO MANZINI — Avete fatto caso a come la pandemia nella memoria collettiva sia evaporata?

SAMUELE BERSANI — Sì, e lo sento anche su di me. Nonostante sia stato a casa, isolato, con una gamba rotta, pensando all’emergenza, che era di tutti, anche dei miei genitori anziani, c’è stata una rimozione generale. È la rimozione di un trauma, di una paura. SAMUELE BERSANI — Deve essere forse anche un fatto di sopravvive­nza. Non lo so.

scrittore

ANTONIO MANZINI — Non si può peraltro nemmeno vivere con il ricordo fisso di una cosa che per molti è stata terribile e portatrice di morte, perché altrimenti la vita diventereb­be un incubo.

Manzini, che canzone di Bersani dovrebbero ascoltare tutti?

ANTONIO MANZINI — Eh... impossibil­e una sola. Ce ne sono tante. Ma c’è una cosa che da tempo vorrei chiedere a Samuele su una sua canzone, Freak (1994, ndr). Il testo a un certo punto recita: «Dimmi dell’India. Hai più pensato a quel progetto di esportare la piadina romagnola?». Ti chiedo, ma ti è mai arrivata una notizia su qualcuno che ha davvero aperto una piadineria in India?

SAMUELE BERSANI — Sì, almeno tre o quattro. E quando sono stato lì a fare il video, ho incontrato dei ragazzi italiani, dei g-e-n-i (ride ripensando­ci, ndr) che erano partiti con trecento macchine da caffè, tipo moka, per rivenderle. Gli indiani impazzivan­o per le caffettier­e italiane.

ANTONIO MANZINI — Una fra le tante canzoni che tutti dovrebbero ascoltare è anche Coccodrill­i (1997, ndr). Il testo dice: «A sei chilometri di curve dalla vita». Non è la frase di una canzone, ma un verso poetico.

Lei Bersani è molto esigente e severo con sé stesso. SAMUELE BERSANI — È vero. Mentre scrivo le canzoni e soprattutt­o dopo. Solo che dopo è tardi, però... Non so se sia una scelta. È la mia natura a essere così. Poi magari ho avuto un periodo in cui sono riuscito a cacciare fuori tante cose, al punto che mi sono persino sorpreso di me stesso. Ci sono momenti in cui mi sembra di non fare niente e invece sotto sto macinando delle cose, le faccio sedimentar­e. Quando si è agli inizi invece è quasi un vomitare di continuo, tirare fuori tante cose.

È un mestiere il suo che è cambiato molto.

SAMUELE BERSANI — Il sistema in cui rientra oggi si è trasformat­o. Per un po’ ho anche cercato di non fare i conti con questa trasformaz­ione, con quello che c’è in giro. Devo ammettere che quando ascolto cose nuove, gli stimoli che mi arrivano sono molto più rari rispetto a una quindicina di anni fa. C’è anche troppa roba in giro.

ANTONIO MANZINI — Non so a voi, ma a me Spotify mi getta nell’ansia più assoluta.

SAMUELE BERSANI — A me già Blockbuste­r lo faceva. Quindi figurati Spotify... Il problema è che non c’è più la feritoia (nel senso di lettore cd, ndr) per ascoltare. Il mondo ne è ormai privo. Però, quando adesso c’è una cosa bella che esce... wow.

ANTONIO MANZINI — È un’epifania!

Un esempio?

SAMUELE BERSANI — Beh, io ora sono in fissa con il nuovo disco di Peter Gabriel (i/o, Universal, ndr), che è una cosa superlativ­a

ANTONIO MANZINI — Ma sai che non l’ho sentito? SAMUELE BERSANI — Sei fortunato allora, perché lo devi ancora scoprire. Ti invidio.

E di «Now and Then», il nuovo singolo dei Beatles, cosa pensate?

SAMUELE BERSANI — Piaciuto. La strofa l’ho trovata molto bella.

ANTONIO MANZINI — Toni, mia moglie, ha il tatuaggio dei Beatles su un braccio. Sua figlia l’ha chiamata Giulia per via di Julia dei Beatles, uno dei nostri cani si chiama Penny per Penny Lane, un’altra Prudence per Dear Prudence.

Sappiamo che lei e sua moglie avete molti cani. ANTONIO MANZINI — Dieci, di cui cinque Corgi. A proposito, ne vuole uno? (ride, ndr). Ma abbiamo anche sette cavalli. E una delle cose più belle del mondo è farsi soffiare l’alito sul collo da loro. Sentire il loro respiro caldo. Per amore degli animali siamo vegetarian­i.

SAMUELE BERSANI — Il mio cane si chiama Marcello in onore di Marcello Mastroiann­i.

ANTONIO MANZINI — Aggiungo una cosa sui Beatles. Quello che mi ha sempre colpito di loro è la gioia che avevano, e che qualche musicista ha ancora, di fare sembrare sempliciss­imo quello che invece semplice non è.

SAMUELE BERSANI — Loro quattro, certo, ma anche il loro produttore (George Martin, ndr). Che era il quinto Beatles. Poi non dimentichi­amo che hanno fatto tutto quello che hanno fatto in soli sette anni.

ANTONIO MANZINI — Stavo guardando un documentar­io sugli Abba e a un certo punto un signore ha detto che, quanto a cultura, erano infinitame­nte superiori ai Beatles. Ho dovuto spegnere. Non ce l’ho fatta. Se penso a Mamma mia epoia Yesterday...

Vi date delle scadenze nel vostro lavoro?

SAMUELE BERSANI — Mi è capitato di immergermi in una vasca e pensare: «Cavolo, sono due anni che non dico qualcosa».

ANTONIO MANZINI — Ma tu non hai la regola della vendemmia?

SAMUELE BERSANI — No.

ANTONIO MANZINI — A un certo punto l’uva è uscita e il vino lo devi fare.

Che differenza di vita, di fruizione c’è fra un libro e un disco secondo voi?

ANTONIO MANZINI — Il libro ha una durata relativa, poi ci sono quelli che chiamano i long selling, che sono quelli che vendono a lungo, ed è molto chic dirlo, poi ci sono invece libri che vendono e poi muoiono dopo due mesi. Tu non sai mai come sarà il tuo libro.

SAMUELE BERSANI — Una canzone può uscire però dalla memoria anche dopo due settimane.

ANTONIO MANZINI — Per un libro io mi devo sedere, aprirlo e leggerlo.

SAMUELE BERSANI — Il libro chiede partecipaz­ione totale.

ANTONIO MANZINI — Con la musica è diverso: io sto guidando e arriva per radio la tua Chicco e Spillo emi dico «quanti anni è che non la sentivo… che bello». C’è, esiste, è una fruizione immediata. Nelle tue canzoni c’è una storia da seguire, come in letteratur­a, mentre se ascolti Brahms, lui ti racconta quello che vuoi tu. Ti fa da colonna sonora.

Un libro che l’ha messa in difficoltà?

ANTONIO MANZINI — L’Ulisse di James Joyce. A pagina 250 mi sono fermato. E anche qualcosa di Virginia Woolf: la trovo molto complicata. Pensavo fosse molto difficile la Recherche di Marcel Proust, invece ho goduto. Nel primo libro, dove tutti si fermano, Proust secondo me non sapeva ancora scrivere bene. Dal secondo è diventato Proust. La sua grandezza sta nel fatto che non ti rivela una cosa, ma te la svela. È sempre stata lì. Lui ti dice: «Guarda, qua sotto»... È questa la forza di un grande narratore.

 ?? ?? L’immagine
Lo scrittore Antonio Manzini (a sinistra) e il cantautore Samuele Bersani a tavola in un ristorante di Bologna durante la conversazi­one con «la Lettura»
(foto di Claudio Sforza)
L’immagine Lo scrittore Antonio Manzini (a sinistra) e il cantautore Samuele Bersani a tavola in un ristorante di Bologna durante la conversazi­one con «la Lettura» (foto di Claudio Sforza)
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy