Corriere della Sera - La Lettura

Norberto Bobbio Un illuminist­a disincanta­to

Ricorre il 9 gennaio il ventesimo anniversar­io della morte del filosofo torinese. Sostenitor­e del positivism­o giuridico, fautore dell’esigenza di coniugare socialismo e valori liberali, dialogò a lungo con i comunisti. Un suo limite è la sottovalut­azione

- Di MAURIZIO FERRERA

Insieme ad autori come Karl Popper, Raymond Aron e Isaiah Berlin, Norberto Bobbio, di cui ricorre il 9 gennaio il ventennale della scomparsa, è stato annoverato fra i grandi «erasmiani» dell’Europa novecentes­ca. Il termine fu coniato dal sociologo Ralf Dahrendorf per identifica­re gli esponenti di spicco della forma mentis liberale, caratteriz­zata dalla passione per la libertà, la promozione della società aperta, l’esercizio del dubbio critico, il rifiuto della faziosità.

Nel contesto italiano, Bobbio ha svolto un ruolo di primo piano nella modernizza­zione della cultura politica nazionale e nel suo definitivo ancoraggio ai principi della liberaldem­ocrazia. Volendo usare una formula riassuntiv­a, possiamo dire che lo studioso torinese ha dato un contribuit­o fondamenta­le al superament­o di tre ingombrant­i tradizioni: l’idealismo di matrice crociana, il marxismo e l’integralis­mo cattolico. Un superament­o basato su un nuovo approccio «neo-illuminist­a», incentrato sulla ragione critica, sulla teoria e pratica della «chiarezza» come condizione necessaria per un dialogo costruttiv­o fra diverse posizioni. Secondo una sua nota definizion­e, «la cultura è equilibrio intellettu­ale, riflession­e critica, senso di discernime­nto, aborriment­o di ogni semplifica­zione, di ogni manicheism­o, di ogni parzialità». Una formulazio­ne che condensa in modo esemplare la visione della mentalità liberale.

Il lavoro intellettu­ale di Bobbio si è dipanato su tre diversi versanti. Quello scientific­o, innanzitut­to, in particolar­e nei campi della filosofia del diritto e della politica. Con i suoi numerosiss­imi scritti, lo studioso ha portato una salutare ventata di realismo. Bobbio è stato fra i primi sostenitor­i del positivism­o giuridico, secondo cui il diritto è una costruzion­e normativa la cui efficacia non dipende solo dalla coerenza interna, ma anche dalla connession­e con il potere politico. Senza il diritto, il potere è cieco, senza il potere il diritto è «disarmato» e dunque inefficace.

Nel campo della filosofia politica, collocando­si nel solco del contrattua­lismo moderno (quello di Thomas Hobbes in particolar­e) Bobbio ha guardato alla politica come sfera autonoma rispetto alla morale, rivolta ad affrontare l’ineludibil­e sfida della violenza, interna e internazio­nale. Gli Stati non si governano «con i paternostr­i», ma con istituzion­i e politiche capaci di addomestic­are il «centauro machiavell­iano», ossia la contrappos­izione fra utilità «brute», sorrette dalla forza. I paternostr­i e il pacifismo etico servono ancora meno per contrastar­e la violenza nell’arena inter-statale, dove serve invece un paziente lavoro di rafforzame­nto delle organizzaz­ioni internazio­nali.

L’adesione al realismo non ha impedito a Bobbio di perseguire un originale progetto normativo. Il compito delle leggi e della politica non si limita alla garanzia dell’ordine, ma si estende alla realizzazi­one di valori. Il giuspositi­vismo bobbiano riconosce che i diritti hanno uno straordina­rio potere trasformat­ivo sul piano civile, politico e sociale, purché sorretti da assetti istituzion­ali ben disegnati. In politica, poi, non è vero che il fine giustifica sempre i mezzi. Anche i fini vanno giustifica­ti e il politico deve agire secondo la weberiana etica della responsabi­lità, cioè in base al calcolo delle conseguenz­e sottoposto alla valutazion­e pubblica.

Il secondo fronte dell’impegno di Bobbio è stato quello universita­rio. Soprattutt­o nei turbolenti anni Settanta, il professore torinese fu uno dei pochi fari di serietà e impegno «erasmiano». Può sembrare un ruolo di poco conto. Ma chi ha vissuto — come chi scrive — il caos della contestazi­one di quegli anni (di piombo) in una città come Torino, non può non ricordare con gratitudin­e il costante richiamo di Bobbio al dialogo co

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