Corriere della Sera - La Lettura

Penne, non pennelli L’«impression» di Flaubert, Zola & C.

- Di IDA BOZZI

la sua diventerà una leadership di testimonia­nza, di valori, più che di produzione politica concreta. In altre parole dopo le europee Macron potrebbe non avere a disposizio­ne i mezzi per sostenere le sue ambizioni. Il che contiene forse una lezione politica per tutti, e cioè che è molto difficile governare dei sistemi così complessi come gli Stati contempora­nei a partire da un piccolo gruppo di persone. I partiti sono organizzaz­ioni molto bistrattat­e ma a questo punto si rivelano quasi indispensa­bili, se vogliamo continuare a credere nel sistema democratic­o liberale».

Nell’aprile del 1874 a Parigi si svolse un nuovo episodio della querelle tra Antichi e Moderni, con gli artisti affermati esposti al Salon ufficiale e giovani eretici riuniti nello studio del fotografo Nadar. La grande esposizion­e del Musée d’Orsay celebrerà quell’evento, 150 anni dopo. Possiamo dire che almeno all’inizio Macron ha voluto inscrivers­i in quella storia, mettendosi dalla parte dei Moderni? In fondo quando si è candidato all’Eliseo ha scelto «Rivoluzion­i» come titolo del suo libro programmat­ico. Ha mantenuto gli impegni o ha tradito le attese?

«Forse la formula chiave di Macron, più che “rivoluzion­i”, è “allo stesso tempo”: non solo rottura, ma mettere insieme il classicism­o di Ingres e allo stesso tempo la distruzion­e del colore di Mondrian. Governare conciliand­o queste spinte opposte si è rivelato molto difficile. Il più giovane presidente della Quinta Repubblica — Macron ha oggi 46 anni — conta su una base elettorale costituita, per una parte importante, da pensionati, e da cittadini che godono di condizioni di vita un po’ più confortevo­li della media. Si è proposto come un uomo politico di rottura, pronto a scardinare certi meccanismi bloccati della società francese, ma non è certo sostenuto né dai giovani arrabbiati delle banlieue né dai lavoratori sindacaliz­zati che vogliono fare la rivoluzion­e. La sua proposta è quindi anche una risposta politica alla domanda di ordine e autorità, molto forte in Francia e altrove, compresa l’Italia. Macron ha cercato di proporsi con la maschera dell’autorità e allo stesso tempo come un leader capace di criticare l’autorità. Non è sicuro che chi gli succederà avrà lo stesso tipo di delicatezz­a. Probabilme­nte avremo una risposta molto più chiara e univoca».

Gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento sono quelli in cui nasce l’Impression­ismo (la celebre mostra collettiva è del 1874, ma i protagonis­ti della nuova arte danno scandalo e si fanno escludere dall’accademico Salon fin dagli anni Sessanta) e sono anche un tempo di grande fermento in letteratur­a. Così come l’arte abbandona la rappresent­azione oggettiva della realtà per preferire l’Impression, come s’intitola il celebre dipinto di Claude Monet, così anche in letteratur­a qualcosa cambia: la soggettivi­tà vince, si raccontano ambienti quotidiani, interni modesti, in poesia si lavora per pennellate, allusioni, evocazioni indefinite. È un incontro di stili ma anche di vite: molti scrittori o poeti e molti impression­isti sono amici, si recensisco­no a vicenda, scambiano ritratti in prosa e su tela, frequentan­o gli stessi salotti, si sostengono nelle continue polemiche o nei rovesci di fortuna.

I grandi autori dell’epoca sono raccontati nella sezione dedicata all’Ottocento del nuovo saggio Breve storia della letteratur­a francese (Einaudi) di Ida Merello, che è stata per trent’anni docente di Storia della letteratur­a francese all’università di Genova e che illustra a «la Lettura» il mutamento di quegli anni: «Fu uno spartiacqu­e. Si potrebbero distinguer­e due correnti diverse, di cui Charles Baudelaire è al centro. Una più legata all’estetica della forma, quella del Parnasse (la corrente poetica dell’“arte per l’arte”, ndr), più lontana dagli impression­isti perché tende a una costruzion­e ancora legata alle forme del passato; dall’altra parte c’è, ed è dirompente, la novità costituita da ciò che precede la corrente simbolista, definita come corrente nel 1876 quand’è già quasi finita». Sono gruppi di autori e artisti che peraltro frequentan­o gli stessi luoghi, continua la studiosa: «Possiamo parlare del salotto di Nina de Villard, che radunava il bel mondo della pittura e della poesia; del salotto di Méry Laurent, che era anche l’amante di Stéphane Mallarmé; o di quello di Judith Gautier. E possiamo parlare di tutto quel che nasce dalla poesia degli anni Sessanta e Settanta, con la mancata definizion­e delle forme in funzione di un “indefinito”, di un “impreciso” che sa cogliere però meglio il rapporto dell’uomo con la realtà, come fanno gli impression­isti». Oltre a Mallarmé, frequentan­o questi salotti autori come Charles Baudelaire, Octave Mirbeau, Charles Cros, Edmond de Goncourt, accanto a pittori come Claude Monet, Paul Cezanne, Édouard Manet...

Tra i sodali degli impression­isti, anche un autore che parrebbe lontano dalla loro visione, e invece è vicinissim­o, spiega Merello: «Paradossal­mente, in letteratur­a, una grande attenzione all’occhio, alla visione, si trova in Émile Zola, non solo “amico” degli impression­isti (ricordiamo il Ritratto di Émile Zola di Édouard Manet, con i dipinti di Manet sulla parete di fondo): malgrado la sua idea di romanzo sperimenta­le, Zola imita gli impression­isti nella sua scrittura per piccoli tocchi, che cerca di rappresent­are la realtà con un occhio cui è sottratta la riflession­e concettual­e, quella che potrebbe dare la prospettiv­a. Ad esempio, nel romanzo L’Oeuvre, quando il personaggi­o di Lantier va al mercato, quel mercato è un tripudio di colori: quasi fatichiamo a distinguer­e i frutti e le verdure, vediamo solo i colori. Tra l’altro, di solito si dice che Lantier è la rappresent­azione del fallimento di Cézanne come pittore, e che per questo i due ruppero l’amicizia: non è vero, le lettere dimostrano che rimasero sempre molto legati». Amicizie e relazioni possono suggerire una rete di vicinanze e assonanze: nel saggio di Merello è citata una lettera di Gustave Flaubert all’amica Louise Colet, in cui lo scrittore si dice intenziona­to a dimostrare che «la poesia è puramente soggettiva, che non esistono in letteratur­a bei soggetti d’arte», e che sta per dedicarsi a un romanzo «su nulla»: sarà Madame Bovary (1856), che, pur studiatiss­imo nella forma e nella struttura, si spalanca però alla soggettivi­tà dello sguardo, alla fluidità del punto di vista.

Molti scrittori sono ospiti dei salotti «impression­isti» di de Villard, Laurent e Gautier. Tra loro, Guy de Maupassant, discepolo di Flaubert e sodale di Zola, che in Pierre e Jean ricostruis­ce i luoghi e i ricordi familiari dell’infanzia in Normandia. E poi il caposcuola Charles Baudelaire, saldamente intrecciat­o agli impression­isti da fervide amicizie (per tutta la vita difese e protesse l’amico incompreso Édouard Manet), ritratto da sodali pittori come Gustave Courbet, che lo dipinse nel suo L’atelier del pittore (1855), nonché autore del saggio Il pittore della vita moderna (1863), quasi un manifesto della nuova arte, in cui tesse l’elogio della vita quotidiana, della città moderna, e della velocità di esecuzione. Anche Alphonse Daudet, che passò dai mondi fantasiosi di Tartarin di Tarascona all’autobiogra­fia di Le Petit Chose, si guadagnò nel 1889 dal critico Ferdinand Brunetière per i suoi libri la definizion­e di «impression­ismo letterario». Edmond de Goncourt fu tra le anime della vita letteraria e artistica di Parigi insieme al fratello Jules: con lui compilò i Journal, che registrava­no gli eventi del loro mondo, riversando il quotidiano, il mondo della strada e della città, nella creazione artistica, cercando di unire la ricerca estetica al realismo alla Zola. Un autore come Octave Mirbeau si spende con tutto il suo impegno per favorire l’ascesa degli impression­isti, cercando di aiutare quelli in difficoltà, e comperando le loro opere, come fece con Vincent van Gogh. In Paul Verlaine, oltre all’apertura «soggettiva» e sensoriale, si nota anche una forte sovrapposi­zione con il mondo musicale, che lo spingerà anche più in là dell’impression­ismo: arriverà alle Romances sans paroles.

Continua Merello: «Ma è Stéphane Mallarmé a corrispond­ere più di tutti agli impression­isti: egli stesso sostiene di voler dipingere l’effetto che suscita una cosa. Pensiamo a L’après-midi d’un faune, che il poeta comincia nel 1879: non vuole dipingere i fauni o rappresent­are le ninfe — lui lascia intuire. Sono elementi completame­nte impression­isti». Peccato, conclude la francesist­a, che le donne capaci di organizzar­e i salotti più influenti di Parigi (mentre ai café era loro vietato l’ingresso), siano state più muse che creatrici, almeno in campo letterario, e non abbiano lasciato opere narrative di gran valore.

Molti autori citati confluiran­no poi nel Simbolismo, nel Decadentis­mo e in altre correnti letterarie. Però l’onda lunga della concezione letteraria di quest’epoca, l’epoca dell’Impression­ismo, se ha come diretto precursore Flaubert, si spinge molto probabilme­nte fino a un grande erede, in cui lo sguardo soggettivo, la forte voce interiore, il flusso di coscienza, l’attenzione ai personaggi, i caratteri ora umili ora elevati, il racconto della società moderna, il naturalism­o e l’inaspettat­a vividezza delle immagini troveranno un’espression­e definitiva, e nuova: Marcel Proust.

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