Corriere della Sera - La Lettura
GERSHWIN E L’ETERNA RAPSODIA: UN SECOLO IN BLU
Con ogni probabilità il glissando ascendente che apre la Rapsodia in blu di George Gershwin (1898-1937; foto sopra) è la linea melodica per clarinetto più ascoltata della storia. Vuoi per la bellezza, vuoi per l’originalità, vuoi per l’utilizzo che ne ha fatto il cinema (un esempio su tutti: nel film Manhattan di Woody Allen), ma sta di fatto che quell’introduzione — con naturalmente il resto della composizione che il 12 febbraio 2024 festeggerà i suoi primi cento anni — fa parte di un universo sonoro impossibile da scalfire.
Lo aveva intuito bene, in anni non sospetti, il musicologo Wilfrid Mellers quando scrisse che i motivi melodici della Rapsodia in blu sono talmente felici, che nemmeno l’apparato sinfonico debole che Gershwin vi aveva ricamato intorno, avrebbe potuto fare colare a picco questa composizione. Che è diventata un simbolo (quasi) pionieristico del jazz sinfonico, genere che ebbe poca fortuna e con il quale gli autori di musica afroamericana (bianchi perlopiù) tentarono di «nobilitare» un linguaggio che in quegli anni veniva considerato «sporco».
Gershwin, l’autore più eseguito dai jazzisti dopo Richard Rodgers e che nella sua breve vita (morì a 38 anni) regalò al mondo più di settecento canzoni, dei musical, un’opera afroamericana come Porgy and Bess... ai tempi della Rapsodia era famosissimo. Alla prima assoluta a New York c’erano anche Sergej Rachmaninov, Leopold Stokowski, Fritz Kreisler e Igor Stravinskij, al quale Gershwin chiese lezioni. Il russo, una volta venuto a conoscenza dei guadagni del collega americano, rispose: «Ma allora, caro mio, siete voi che dovete dare lezioni a me».