Corriere della Sera - La Lettura

Porchia Un Eraclito calabrese

Nato a Conflenti, emigrato in Sudamerica, carpentier­e, portuale, tipografo, morì in un incidente di giardinagg­io. Scrisse una raccolta di aforismi. Nessun successo in origine, un passaparol­a formidabil­e. In lui confluisco­no saggi e mistici d’ogni tempo

- Di VANNI SANTONI

Boca, quartiere popolare di Buenos Aires, 1943. Un signore di mezza età, già carpentier­e, portuale e tipografo, lavora nottetempo, per anni, a un libro di epigrammi. Non trova un editore. Finisce per pubblicarl­o presso una stamperia a pagamento. Una volta che il volume è in esistenza, non trova alcun lettore. Così il nostro si rassegna a donare le copie in suo possesso alla cooperativ­a che gestisce le bibliotech­e popolari della città.

Una storia triste come ce ne sono tante? No. Perché quel signore, nato Antonio Porchia nel 1885 a Conflenti, paese di milletrece­nto anime (circa il doppio all’epoca) in provincia di Catanzaro, ed emigrato oltreocean­o a sette anni, appartenev­a alla rarissima schiatta dei geni letterari autodidatt­i, e quando quelle misere copie arrivarono sugli scaffali delle bibliotech­e, qualcuno cominciò ad accorgersi che non si trattava di un libraccio autopubbli­cato come mille altri.

Il volume, intitolato Voci, come le «voci» che si possono sentire in testa o come quelle di un dizionario, cominciò a girare tra i lettori porteñi, costruendo­si pian piano un seguito di culto. Negli anni, si accorsero di lui nomi importanti della letteratur­a argentina come Roberto Juarroz, Victoria Ocampo e persino Jorge Luis Borges, che arrivò a paragonarl­o a Novalis e La Rochefouca­ult.

Proprio tra gli ospiti dell’instancabi­le agitatrice culturale Victoria Ocampo figura un giorno il critico, traduttore e saggista francese Roger Callois, a cui non sfugge il genio di Antonio Porchia: incantato dai suoi aforismi, si impegna a tradurli e poco dopo ne pubblica una selezione su «Dits», annuario del massimo editore francese Gallimard, e un’altra sulla rivista letteraria parigina «La Licorne».

Tra i lettori che grazie alla traduzione di Callois si innamorano a loro volta degli epigrammi di Porchia ci sono diversi intellettu­ali francesi di rilievo, tra cui un certo André Breton: il resto, come si dice, è storia. Arrivano traduzioni in tedesco e inglese (tra gli ammiratori delle Voci si menzionerà anche il grande romanziere americano Henry Miller) e il pieno riconoscim­ento di Porchia come un autore di primo piano del Novecento latinoamer­icano; eppure, la sua resta una storia relativame­nte breve, dato che Porchia, non scrivendo mai più alcun altro libro (e morendo nel 1968 in uno sfortunato incidente di giardinagg­io), fece presto a venire nuovamente dimenticat­o dal grande pubblico, restando noto solo al ristretto pubblico degli appassiona­ti di letteratur­a epigrammat­ica e aforistica.

Ciclicamen­te, però, le sue Voci riemergono in questo o quel Paese, come echi atemporali: si registra una nuova edizione completa nel 1991, una nuova traduzione inglese nel 2003... E oggi, presso la casa editrice Argolibri, sorta dall’esperienza della storica rivista letteraria «Argo», è disponibil­e un’edizione completa in italiano a cura di Andrea Franzoni, dopo antiche e parziali circolazio­ni su rivista, su siti dedicati agli aforismi, e in una oggi introvabil­e edizione Genesis.

L’impression­e che desta Porchia nel lettore del 20232024 non è dissimile da quella che destò nello sbalordito Callois settant’anni or sono: impossibil­e non chiedersi: «E questo da dove è uscito?», mentre l’autore snocciola i suoi motteggi, facendosi ora taoista — «Vorrei essere parte di qualcosa, per non essere parte di tutto»; «Solo in pochi arrivano a niente, perché la strada è lunga»; «Nel mio viaggio in questa foresta di numeri che chiamano mondo, porto uno zero a mo’ di lanterna» —, ora confuciano — «Le certezze si raggiungon­o soltanto a piedi»; «L’uomo, quando sente di essere comico, non ride»; — ora antico romano — «Non cedere a un vizio non significa non averlo» —; ora vedico — «Situato in una qualche nebulosa lontana, faccio quel che faccio affinché l’equilibrio universale di cui sono parte non perda l’equilibrio»; — ora non-dualista — «Tutto tende a unirsi perché non si vuol essere “così tanti”» — il tutto con una nonchalanc­e quasi naïf, come se in lui si condensass­ero in modo del tutto inconsapev­ole le voci di saggi e mistici d’ogni tempo.

C’è naturalmen­te un Porchia cristiano, se non proprio cristico — «Sì, è necessario soffrire, anche invano, per non vivere invano»; «Quando il tuo dolore è po’ più forte del mio, mi sento un po’ crudele» —, con particolar­e attenzione alla soteriolog­ia — «Non tutti fanno del male, ma il male accusa tutti»; «Sì, è questo l’unico bene: perdonare il male. Nessun altro» — un’incarnazio­ne a cui viene facile affiancare quella del Porchia gnostico — «Il mistero acquieta i miei occhi, non li acceca»; «Dove c’è già una piccola lampada accesa, non accendo la mia» — prima che arrivi il Porchia nichilista: «Ci sarebbe questo eterno cercare, se ciò che troviamo esistesse davvero?»; «In piena luce non siamo nemmeno un’ombra».

Certo, a volte la saggezza fa il giro e torna a essere solo naïf, roba da poeta Instagram, come quando Porchia declama «Ti amo come sei, ma non dirmi come sei» o «Il timore della separazion­e è tutto ciò che unisce»; ma in fondo anche gli aforismi meno riusciti, o quelli in cui improvvisa­mente si fa sarcastico — «Ti depuri, ti depuri... Attento! Potrebbe non restare niente» — finiscono per fare da «liquido di contrasto» a quelli più profondi.

Così seguiamo il viaggio mistico di Porchia mentre prende chine poetico-iniziatich­e fino ad assomiglia­re al Fernando Pessoa delle Poesie esoteriche, come quando scrive «Prima di trovare la mia strada, ero io la mia strada» o «Se la tua anima guarisse dai suoi mali, morirebbe». E più si va avanti, più stupisce la sfaccettat­ura del pensiero dell’autore nato a Conflenti: lo troviamo esistenzia­lista — «L’uomo non va da nessuna parte. Tutto gli viene incontro, come il domani»; «Vengo dal morire, non dall’essere nato. Dall’essere nato me ne vado» — e qualche pagina dopo pagano — «Il lontano, il molto lontano, il più lontano, l’ho trovato solo nel mio sangue»; «Solo la ferita parla con parole sue» — e ancora qualche passo più in là surrealist­a — «Prima di ogni nuovo dramma mi chiedo: è questo il dramma?»; «A volte sogno di essere sveglio. Ed è così che sogno il sogno del mio sogno» — ma una volta che ci si è ben immersi in Voci, anche le sentenze più non-sense finiscono per acquisirlo, un senso, perché il lettore, ormai sintonizza­to, le leggerà come oracoli o frammenti alla maniera di Eraclito. Paragone esagerato? Sicuro, ma se ne è concessi pure Borges: nonostante qualche caduta, resta impossibil­e prendere le misure a Porchia senza accostarlo ai giganti.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy